Mancanza di preparazione, richiesta di linee guida e necessità di aggiornare le procedure: sono queste alcune delle criticità e delle esigenze segnalate dagli operatori sanitari che devono rilasciare le certificazioni necessarie al porto d'armi, cioè medici di base, psichiatri e medici legali delle asl.
A segnalarlo sono i risultati preliminari di una ricerca appena conclusa dall'università Statale di Milano e l'ordine dei medici di Milano. Nel nostro Paese, si stima che siano circa 4 milioni e 800mila le persone che detengono legalmente un'arma, e circa 350 le persone che, secondo dati Istat, muoiono ogni anno suicidandosi con un'arma, che in molti casi è legalmente detenuta. «Una delle grandi difficoltà per chi vuole fare prevenzione e controllare l'abuso delle armi - spiega Carlo Alfredo Clerici, ricercatore di Psicologia e uno dei coordinatori dello studio - sta nella mancanza di dati sull'esatto numero di detentori di armi nel nostro Paese. I database del Viminale infatti non sono in grado di dare numeri precisi».
L'attuale procedura per il porto d'armi prevede il rilascio di un certificato anamnestico dal medico di medicina generale, che deve attestare la mancanza di patologie psichiatriche o neurologiche, e la non assunzione di droghe o alcol. Una volta fatto questo, continua Clerici, «lo si consegna all'ufficiale sanitario della asl, o a un ufficiale medico militare o a un medico della Polizia, che rilasceranno o meno il certificato di idoneità psicofisica».
Tre in particolare le criticità emerse dalla ricerca dell'università di Milano. «La prima è che, in caso di pazienti sottoposti a trattamento sanitario obbligatorio - prosegue Clerici - non vengono eseguiti controlli incrociati, e la procedura non prevede ad esempio l'obbligo di segnalazione dal medico alla polizia. La seconda riguarda i medici di base, che nella loro vita professionale vedono poche situazioni di rischio e non hanno molta formazione su questo campo. Se hanno un vago sospetto, dietro cui molte volte si nascondono le situazioni più gravi, spesso non sanno a chi riferire e cosa fare».
Per quanto riguarda poi gli psicologi, che gestiscono anche situazioni di rischio, «a volte lamentano la mancanza di una formazione sufficiente e chiedono linee guida».
Vi sono comunque delle condizioni che possono essere «predittive» di suicidi o omicidi con armi.
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