Se fosse un film e non un romanzo verrebbe da dire che Barbara Baraldi ha saputo calarsi totalmente nella parte della protagonista indossando alla perfezione i panni di Janis Joplin. Il fuoco dentro (Giunti, euro 15,90) è un libro di quattrocento pagine che si divora in due giorni. Come in un romanzo a tinte noir, l'autrice racconta con la giusta dose di suspense la parabola della iconica cantautrice texana, una leggenda della scena blues rock e soul di fine anni Sessanta, dalla sua prima audizione coi Big Brother and the Holding Company, tra i protagonisti dell'ambiente psichedelico della San Francisco di quegli anni, fino al suo trionfale debutto al Festival Pop di Monterey del giugno 1967 (che precederà Woodstock di un paio d'anni) davanti a «venticinquemila hippie scatenati» e accanto a stelle di prima grandezza quali The Who, Jimi Hendrix, The Byrds, Simon & Garfunkel, Grateful Dead, Jefferson Airplane, Otis Redding (che morirà di lì a poco). Dopo il successo personale (è lei a essere osannata, non la band), ecco i primi dissidi con i Big Brother, l'incontro con Albert Grossman, il manager di Bob Dylan, gli acclamati tour americani ed europei, fino alla morte per overdose di eroina avvenuta il 4 ottobre 1970, ad appena ventisette anni, in una stanza del Landmark Hotel di Los Angeles.
Tutto questo tra salti temporali e flashback risalenti agli anni della giovinezza a Port Arthur, nel Texas, dove era nata il 19 gennaio 1943, e dove aveva trascorso una infanzia e una prima adolescenza problematiche, costantemente bullizzata dai compagni di scuola, emarginata, isolata, sofferente. Le sedute con lo psicologo. Un primo tentativo di scalare il successo. Il fallimento. La dipendenza dall'alcol e dalla droga, il flagello dell'acne che cerca di nascondere con la massa dei capelli, la timidezza e l'insicurezza alimentate da genitori distanti, che la fanno sentire inadeguata: quante volte per accontentarli proverà ad annullarsi, mettendo da parte i suoi sogni! A compensare tutto ciò, quasi come per un dono divino, la sua voce potente e inconfondibile, «un grido limpido e sporco che la libera da ogni dolore». Una «bianca che canta come una nera» si è detto più volte: è lei stessa ad ammettere di essersi ispirata a modelli quali Bessie Smith e Big Mama Thornton. Ma sarebbe riduttivo. Ogni volta che si esibisce Janis canta come se avesse l'inferno dentro, come se fosse il suo ultimo giorno sulla terra, spingendosi sempre al limite. La sua è una voce «che possiede la solennità del gospel, la grinta del rock e il dolore del blues», quasi «una sostanza stupefacente sciolta nell'aria».
La prima volta che la sentì cantare, ricorderà anni dopo il critico musicale Joel Selvin nel suo libro dedicato a Monterey, «è stato come se la terra si fosse spalancata». Janis ama stare sul palco, essere al centro dell'attenzione, se potesse si esibirebbe per ore, fino allo sfinimento, perché «in quei momenti ogni spettatore sembra una foglia del medesimo albero, nutrito dalla radice della sua voce». Sì, perché quando canta Janis è «come se si squarciasse il petto con un coltello per mostrare agli altri il suo cuore». «Finalmente ho uno scopo» annota da qualche parte. «Finalmente c'è qualcosa nella mia vita in cui sento di essere davvero unica. Lo vedo negli occhi delle persone che vengono a sentirmi cantare e scintillano come se dentro ci fosse riflesso un fuoco. E in un certo senso è così, perché quel fuoco mi arde dentro e si chiama musica. Sono consumata da quel fuoco, sono diventata quel fuoco». Sempre pronta alla provocazione, alla rissa, verrà schedata e denunciata dalla polizia nel 1969 dopo un concerto a Tampa, in Florida, per disturbo dell'ordine pubblico e linguaggio osceno: accuse da cui verrà assolta. La bisessualità, gli amori e i trasporti con uomini e donne, molti dei quali musicisti affermati, da Jimi Hendrix («folle e sensuale») a Jim Morrison, il Re Lucertola, che si rivela una delusione, fino a Leonard Cohen. La «relazione devastante» con Peggy Caserta, proprietaria del negozio dove Janis compra gli abiti di scena e che la rifornisce di droga.
Ma soprattutto la musica come unica ragione di vita (da ragazzina si addormentava cantando, era solita ricordare la madre), «estrema rivalsa, unica via di salvezza, di riscatto». Il successo voluto a tutti i costi. Essere famosa, prima di tutto. Esponente ed emblema di una generazione bruciata (più o meno come lei finiranno Jim Morrison, Jimi Hendrix e tanti altri), consumata dall'alcol e dalle droghe, da una confusa smania di rivoluzionare il mondo, in aperto contrasto con quello di chi l'ha preceduta, in lei convivranno più anime: da una parte la ragazza romantica, che vorrebbe essere accettata dalla società e condurre una vita «normale», dall'altra la ribelle pronta a tutto pur di farsi notare, di sfidare le convenzioni. «Una ragazza del sud impacciata e insicura che lascia il posto a una tigre non appena afferra il microfono». Introversa ed esibizionista allo stesso tempo quando frequenta il campus universitario indossando camicie da uomo sotto giacconi militari e camminando scalza sotto una folta massa di capelli scarmigliati, Janis di colpo sa trasformarsi in una diva da copertina davanti all'obiettivo di Bob Seidemann, il fotografo della controcultura rock molto vicino alla rivista Rolling Stone.
Nel romanzo c'è la suggestiva ricostruzione di un'epoca, di mondo, di un'anima tormentata, baciata da un talento prodigioso, di un'epoca avventurosa.
Non una vera e propria biografia, ma un romanzo teso e ritmato in cui Barbara Baraldi, tra qualche licenza poetica, cattura lo spirito indomito di una delle più grandi artiste della scena blues rock e soul in anni cruciali per la storia musicale, nonostante una manciata di album alle spalle, molti dei quali registrati dal vivo, e capolavori da lei composti o resi celebri come Cry Baby, Piece of my heart, Maybe, Mercedes Benz, Ball and Chain e Summertime.
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