Jannacci: "Faccio il mio sporco lavoro, canto canzonette"

Il musicista è ospite del Meeting di Rimini: "Resto me stesso davanti a tutte le platee". Per l'artista "la vita è una condanna a morte. Gesù ci prenderebbe a calci con il piede meno ferito dai chiodi"

Jannacci: "Faccio il mio sporco lavoro, canto canzonette"

Rimini - Nelle pieghe della sua caustica ironia, del suo sarcasmo, alberga il senso della pìetas della Milano del dopoguerra, della tragressione e del sacrificio. Di «quelli che hanno cominciato a lavorare da piccoli/ non hanno ancora finito/ e non sanno che cavolo fanno» e di quelli come lui, che si sono buttati sulla medicina ma che sono stati eletti, per virtù di poesia, al rango di cantastorie popolari. Enzo Jannacci con le sue canzoni fa ridere e fa riflettere; lo fa da sempre con canzoni agrodolci come El purtava i scarp de tennis e lo fa a maggior ragione oggi con parole che pesano come macigni. «La vita è una condanna a morte - sentenzia strascicando le parole, oggi che salirà per la prima volta sul palco del Meeting di Rimini - e più vai avanti con gli anni più te ne rendi conto. Io poi che sono umorale certi giorni mi sento un malato terminale, cammino, faccio tante cose ma non ne capisco il senso». Provate a dire qualcosa di leggero dopo questa bomba buttata lì con nonchalance; solo lui ci riesce. «Per tirarmi su tutte le sere mi guardo allo specchio e canto Bartali, perché dietro di me vedo tanto divertimento ma anche molta fatica. Ora canto anche Il nostro concerto di Bindi; mi tira su il morale, la canto a squarciagola in macchina, qualche giorno fa mi hanno fermato persino i vigili. Mi hanno detto: “ma lei è matto?”. Sarò anche matto, ho risposto, ma sono un cantante e quindi canto. Ho la sindrome di Greta Garbo, mi faccio vedere poco in giro e la gente non mi riconosce, anche se un ragazzino mi ha lasciato basito dicendomi: “sa che sull’iPod ho Andava a Rogoredo?”».

Comunque non si può lamentare il dottore, qualche pagina storica della nostra canzone l’ha pure scritta... «Sarei presuntuoso a dirlo, qualche anno di carriera alle spalle ce l’ho e qualche brano che unisce poesia spicciola e divertimento, come Ti te se no o L’uomo e l’età penso che sarà ricordato. Invece odio Vengo anch’io no tu no, anche se mi ha portato fortuna, mi ha cucito addosso l’immagine del clown». E pensare che con Giorgio Gaber è partito come uno dei primi rockettari doc italiani. «Ma era lui il vero rocker, sembravamo gli Everly Brothers ma a suonare il rock si suda, si fa fatica. Così mi buttai sulle canzoni milanesi, che Cesare Zavattini ha definito dei piccoli film».

Spesso controcorrente, anticonvenzionale, pronto a scelte - anche di vita e di pensiero - non sempre facili. Se la vita è una condanna a morte, tanti (anche molti cantautori) si rifugiano nella fede. Jannacci lo fa a modo suo: «Amo Gesù, quel signore biondo è la più grande figura storica di sempre. Lui ha detto “Dio è amore” e avremmo tanto bisogno delle sue carezze. Però basta guardarsi in giro, nella politica come nello sport e nella vita quotidiana, per capire che se scendesse dalla croce ci prenderebbe tutti a calci nel sedere col piede meno rovinato dai chiodi. C’è indifferenza, mancanza di vergogna ovunque. Io guardo il Pd e mi cadono le braccia, eppure vengo da una cultura, direi di sinistra, che parte dal dopoguerra, ma oggi non ci capisco più niente. Se ci fosse mio padre, che ha fatto l’aviatore in guerra e poi l’operaio e ha sempre avuto una sua coerenza di idee e di vita, a vedere tutti questi balletti si sparerebbe».

E allora avanti con le canzoni come (piccolo) antidoto contro i grandi mali del quotidiano. Avanti anche qui al Meeting di Rimini. Schierato con Cl? «Non sono un ragazzino come Marco Carta, ho anni di esperienza, sono sempre me stesso e faccio il mio sporco lavoro: cantare canzonette. Non importa chi ho davanti. Certo, se dovesse partire un dibattito o qualcuno mi facesse delle domande difenderei le idee che ho esposto prima. Sono qui perché, pur essendo pigro, la mia umoralità ha bisogno di provare nuove emozioni. Mi hanno chiamato loro e ora mi accettano come sono, un signore anziano che non cambierà più». Gioca a fare il vecchio disilluso Jannacci, ha annunciato il ritiro, ma non ci crede nessuno: «Farò ancora qualche concerto, mio figlio mi obbliga, ma dopo un’ora e mezza di show sono distrutto».

E l’ironia è ancora la sua arma vincente: «Se non ridi di ciò che ti circonda non riesci ad affrontare la vita. L’ironia comunque va maneggiata con leggerezza; odio chi la fa tracimare nel sarcasmo come arma per offendere gli altri».

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