Dici: «Nonna?». Ci resta male. «Non ho gli anni della Montalcini». Meglio mamma: «Direi di sì. Diciamo che sono attempata solo per lo sport. Con i miei quasi 44 anni posso essere mamma anche delle ventiquattrenni». Età scelta non a caso. Quando quelle nascevano, Josefa Idem, detta Sefi, stava pagaiando in canoa e nella sua prima Olimpiade (Los Angeles ’84, bronzo nel K2). Era tedesca, non italiana. Lavorava in banca. Aveva qualche complesso con quei muscoli che non la facevano sentir bella. Oggi è un simbolo, gronda medaglie e pass olimpici (con questa saranno sette), mamma dello sport e mamma vera, donna senza confini. Nostra Signora delle Olimpiadi.
Signora Idem, il segreto?
«Ho azzeccato tutto, compreso
un bravissimo allenatore,
che poi è mio marito. Alla mia
età far sport diventa un lavoro
intellettuale, bisogna sempre
avere motivazioni, trovare la
strada per abbattere i propri
limiti».
E quando trova per rivali le
figlie delle sue ex rivali?
«Non mi soffermo sulle cose
che mi fanno perdere energia.
Penso positivo: posso essere loro
mamma, ma guadagno in
esperienza. Penso alla fortuna
che gli anni passano e possiamo contarli».
Mai pentita diessere diventata
italiana?
«Ho scelto io. Per amore.
Quando è un atto volontario
non ti penti».
Dal punto di vista sportivo ne
è valsa la pena?
«Le racconto questa storia:
quando ho vinto il primo mondiale
per l’Italia, mia mamma
ha chiesto al mio ex allenatore:
se fosse rimasta tedesca,
Sefi avrebbe fatto il mondiale
di K1? E quello: no! In Italia ho
potuto esprimermi liberamente.
Con mio marito, abbiamo
interpretato lo sport come volevamo.
Là sarebbe stato impossibile».
Oggi lei è anche mamma di
due ragazzi: Janek e Jonas.
Difficile mettere insieme le
due attività?
«Ho la fortuna di gareggiare
in uno sport singolo, non di
squadra. Quindi non devo far
coincidere le mie esigenze con
quelle della squadra: poppate
e allenamenti, trasferte e levatacce.
Molto più semplice».
È dura per lemamme?
«Faccio un esempio, Daniela
Ceccarelli, la sciatrice, ha subito
una serie di discriminazioni
pesanti. Si è sentita dire: ma
vai a casa dalla tua bambina!
Come fosse una cattiva madre.
Un’atleta non ha le stesse
tutele di una donna nel lavoro.
Esistono sport di squadra con
la clausola anti-maternità».
Però le donne hanno fatto
passi da gigante. Nonsi parla
solo di estetica...
«Vero, e invidio le giovani che
hanno trovato una strada già
spianata dove io ho trovato la
giungla. L’accettazione del corpo
dell’atleta è stata una conquista
anche dolorosa. Io, facendo
uno sport di forza, non
avevole certezze delle campionesse
di oggi che vivono consicurezza
e spavalderia il loro
tempo».
È tempo anche per una portabandiera
alle Olimpiadi?
«Io lo farei volentieri, ma rispetto
la scelta del Coni. Però
ricordiamo che l’ultima portabandiera
alle Olimpiadi estive
fu la Trillini nel 1992».
Da Los Angeles a Pechino,
quanto è cambiato il mondo
dei Giochi?
«È cresciuto come macchina
da business. Ora ci sono i diktat
delle multinazionali. Non
mi piace la maggior politicizzazione».
Pensa a tutto quanto sta accadendo?
«Un tempo erano le Olimpiadi
afermarei conflitti, oggi sonoi
conflitti a fermarle. Eppure i
Giochi dimostrano che c’è ancora
modo di confrontarsi in
modo pacifico, pur con conflitti
in corso».
Niente boicottaggio?
«Il Tibet non è un problema nato
l’anno scorso. Sono contraria
a boicottare. Sarebbe meglio
non assegnare i Giochi a
Paesi dov’è prevedibile pensare
a un boicottaggio. Noi atleti,
comunque, dovremo fare un
gesto simbolico. Magari sfilare
nella cerimonia d’apertura
con una fascia sul braccio. Far
intendere al mondo il nostro
senso civico, il senso della pace».
Il suo sogno olimpico?
«Salire ancora sul podio. Mi alleno
6 ore al giorno per 5 giorni
alla settimana, per 11 mesi
all’anno proprio per questo.
Conta fare un patto con la malasorte:
basta un niente per
batterti».
E dietro l’angolo ci sono sempre
le storie di doping...
«Ma non bisogna parlarne solo
nell’anno olimpico. Bisogna
toccare gli interessi di chi produce
certe sostanze, le case
farmaceutiche vanno oltre il
fabbisogno: limitiamole. Non
nascondiamoci dietro un dito.
L’atleta è solo l’ultimo anello
di una catena».
Chiudiamo con un pronostico:
come andrà l’Italia?
«Sono
Porterà i suoi figli?
«Certo, Janek è già alla quarta.
Jonas alla seconda».
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