Kabul, "Sacchi d’oro ai talebani" Ecco come pacificano gli inglesi

Dopo le accuse all'IKtalia il Times pubblica gli ordini di Londra agli ufficiali: "Contro gli insorti sono i soldi l’arma migliore"

Kabul, "Sacchi d’oro ai talebani"  
Ecco come pacificano gli inglesi

Ma non erano i nostri soldati a pagare i talebani? Se siete di quelli che Times e giornalismo anglosassone sono un’unica fede allora attenti, perché la domanda rischia di sgretolare le vostre più inveterate certezze. Eppure il titolo del quotidiano tanto blasonato pubblicato sul suo sito internet suona proprio così «Army tells its soldiers to “bribe” the Taleban», ovvero: «L’esercito spiega ai suoi soldati di “corrompere” i talebani». Avete letto bene, stavolta non ci sono di mezzo Ignazio La Russa, i suoi predecessori o i pusillanimi marmittoni di casa nostra. Stavolta a pagare i seguaci del mullah Omar, anzi a coprirli d’oro, ci penseranno i soldati di Sua Maestà. Merito degli strateghi di Londra, merito di un nuovo manuale da campo inglese secondo cui l’unico modo per abbandonare l’Afghanistan senza lasciarsi troppi cadaveri alle spalle è comprarsi i talebani a peso d’oro o - per usare il termine del manuale di Sua Maestà - a «borse d’oro». A confermare l’aurea svolta ci pensa il Generale Paul Newton: «L’arma migliore per confrontarsi con gli insorti non è sparare ma pagare... solo usando sacchi d’oro riusciremo a cambiare le dinamiche del campo di battaglia» spiega l’ufficiale descritto come una delle menti più lucide degli alti comandi britannici.

In questo disquisire di mazzette e strategie la parte più spassosa la recita però il quotidiano. Non più tardi del 15 ottobre scorso il Vangelo secondo Murdoch se ne uscì con uno scoop da Kabul secondo cui a pagare i talebani erano i nostri soldati. Stando all’articolo, scritto orecchiando una notizia qua e un si dice di là, gli italiani dispiegati fino alla primavera del 2008 nella zona di Surubi, a sud della capitale, versavano mazzette ai talebani per portar a casa la pelle. Quella riprovevole abitudine taciuta dai nostri 007 agli omologhi di Parigi sarebbe stata, sempre a detta del Times, la causa di un’imboscata conclusasi con il massacro di dieci soldati francesi mandati a sostituire le nostre truppe. Il presunto scoop venne smentito nel giro di 48 ore dal ministro della Difesa La Russa, dai suoi colleghi francesi, dai comandanti americani e dai vertici Nato di Kabul. Il Times non fece mezzo passo indietro e continuò a riversare humour e fango sulle biasimevoli abitudini italiote. E stavolta? Stavolta manco «oh». Stavolta la notizia fila via senza un fremito d’indignazione, senza commenti e soprattutto senza inopportuni paragoni con gli italiani. Stavolta il Times, recupera il suo rigoroso stile britannico e spiega che la decisione è tutta legata alle difficoltà di una guerra dove gli americani comprano i talebani come galline al mercato mentre l’esercito di Sua Maestà non ha il becco di un quattrino. «I comandanti britannici durante le recenti operazioni non hanno avuto la possibilità di utilizzare lo stesso contante della controparte americana da questo momento - spiega la nuova Bibbia della contro guerriglia alla britannica maniera - i comandanti dovranno utilizzare il denaro allo stesso modo di un’arma. Se spesi nel contesto di una pianificazione a lungo termine quei soldi rappresentano un mezzo e un costo adeguato per sottrarre ai talebani l’appoggio delle comunità e garantire ai militari un indispensabile risparmio d’energie».

E se il denaro finisce nelle mani di talebani responsabili della morte di soldati della Nato? Nessun problema, anzi tanto meglio perché - spiega l’inossidabile generale Powell all’ancor più inossidabile quotidiano «non ha proprio senso parlare con persone che non hanno le mani sporche di sangue».

Un mese dopo aver accusato i soldati italiani di pagare il nemico il quotidiano simbolo del giornalismo inglese ci spiega insomma che denaro

e mazzette sono il modo migliore per abbandonare l’Afghanistan e offrire al premier Gordon Brown la possibilità di affrontare con qualche speranza le elezioni del 2010. E stavolta, purtroppo, rischia anche d’esser vero.

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