Karzai tenta la riconciliazione, i talebani fanno strage a Kabul

La beffa è servita, praticamente a domicilio. Se Hamid Karzai pensava di spiazzare i talebani si sbagliava. Ieri mattina i nemici hanno preso in contropiede lui e il suo governo, hanno bussato alle porte del palazzo dove 14 nuovi ministri si preparavano a giurare, hanno risposto con kalashnikov e attacchi suicidi al programma di riconciliazione con cui il presidente spera di convincere gli insorti a deporre le armi.
Tutto inizia verso le dieci. I ministri sono nel salone di quel palazzo blindato dove Karzai si prepara a far giurare il suo nuovo esecutivo. Non è un gran successo, visto che il Parlamento ha negato la fiducia a gran parte dei ministri, ma la cerimonia rappresenta una tappa indispensabile per arrivare con un governo in carica alla conferenza internazionale sull’Afghanistan del prossimo 28 gennaio a Londra. Lì Karzai si giocherà la scarsa credibilità rimastagli presentando un piano di riconciliazione che prevede il perdono e il reinserimento dei talebani pronti a deporre le armi.
È un piano ambizioso e soprattutto costoso. Per avviarlo il presidente ha bisogno dell’appoggio di tutti i suoi alleati, a partire dalla sempre più scettica amministrazione Usa. Non a caso 24 ore prima Karzai ha fatto trapelare la possibilità di offrire posti di lavoro, reintegrazione sociale, misure di sicurezza e benefici a tutti gli insorti pentiti. Gli insorti, per tutta risposta, si preparano ad entrargli in casa. I primi ad accorgersene sono i soldati di guardia al posto di blocco di Pashtunistan Square, la piazza nel cuore della capitale attorno alla quale sono raggruppati il palazzo presidenziale, i principali ministeri e il Serena Hotel, un cinque stelle sempre affollato di stranieri, e un centro commerciale.
«Li ho visti, erano in quattro, si sono avvicinati avvolti nei patthu (le tipiche coperte afghane, ndr) e quando le guardie hanno gridato “ehi voi, dove andate?”, quelli non si sono fermati neppure un attimo - racconta Ismail, titolare di uno dei negozi del centro commerciale -; il primo del gruppo ha aperto il patthu, ha mostrato un giubbotto esplosivo e ha urlato “toglietevi dai piedi o siete tutti morti”». Un attimo dopo Pashtunistan Square è squassata dal fragore della prima esplosione e dal riecheggiare delle sparatorie tra le forze di sicurezza e i sopravvissuti di quel primo commando. Mentre si combatte intorno al Serena Hotel altri due attentatori suicidi fanno irruzione dentro il centro commerciale Qari Sami e si fanno esplodere. Intanto i loro compagni aprono il fuoco dalle finestre dell’edificio in fiamme. La zona si trasforma in un campo di battaglia solcato dalle raffiche di mitragliatrice pesante e attraversato dagli elicotteri in volo radente tra gli edifici.
A disorientare i difensori ci pensa, un’ora dopo, un quarto kamikaze che riesce a far saltare un’ambulanza con le insegne dell’esercito davanti al ministero dell’Educazione. Per aver la meglio sugli insorti asserragliati nel centro commerciale e nelle altre zone le forze di sicurezza ci mettono più di cinque ore. Alla fine il bilancio fornito dal ministro dell’Interno Mohammed Hanif Atmar è di cinque persone uccise - tra cui un bimbo e quattro uomini delle forze di sicurezza - oltre ad almeno 71 feriti. Il numero degli insorti uccisi o catturati resta incerto. Secondo il portavoce dei talebani Zabiullah Mujahid il commando infiltratosi nella capitale contava venti militanti, ma quelli caduti sotto i colpi delle forze di sicurezza o fattisi saltare risultano solo sette. Ne mancano dunque almeno 13 che, se non sono stati feriti o catturati, potrebbero essere ancora dentro Kabul.
Lo schiaffo più doloroso per la credibilità del governo e delle forze di sicurezza è però l’ennesima riuscita infiltrazione nel “sancta sanctorum” della capitale.

L’episodio, ripetutosi più volte da quando oltre un anno fa la Nato trasferì al governo la difesa della città, dimostra l’esistenza di una fitta rete di complicità favorita dalla corruzione che consente ai talebani di superare senza fatica i posti di blocco di polizia ed esercito. E questo non è certo di buon auspicio per un programma di riabilitazione che prevede l’inserimento dei cosiddetti talebani “riabilitati” all’interno di una polizia e di un esercito già assai poco affidabili.

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