Kenya, l’ombra dei Mau Mau sulle stragi degli ultimi giorni

Fonti cattoliche: omicidi mirati ad opera dei Mungiki, setta erede dei sanguinari ribelli

L’ombra dei Mungiki, una setta erede dei terribili Mau Mau che si ribellarono all’impero britannico, si sta profilando nella faida tribale che continua a sconvolgere il Kenya. Nell’ultima settimana sono già cento le vittime ammazzate spesso a colpi di machete. Domenica scorsa 19 persone, in gran parte donne e bambini, sono bruciate vive dentro una casa date alle fiamme a Naivasha nella famigerata Rift valley, epicentro della nuova ondata di violenze.
La mobilitazione dei Mungiki, che significa “moltitudine” è stata denunciata ieri da fonti cattoliche in Kenya all’agenzia vaticana Fides: «Abbiamo sentore che anche negli scontri nella Rift valley vi sia la mano dei Mungiki, un gruppo criminale vicino alla milizia kikuyu, l'etnia del presidente Mwai Kibaki». La discussa elezione del nuovo capo di Stato aveva scatenato la rappresaglia delle tribù luo e kalenjin fedeli al rivale di Kibaki, Raila Odinga. All’inizio erano loro a dare la caccia ai kikuyu.
«I Mungiki si stanno vendicando delle violenze subite inizialmente da parte degli altri gruppi etnici - sostiene la fonte della Fides -. La zona dove sono avvenuti gli ultimi assalti è a maggioranza kikuyu. Stanno compiendo una sorta di “pulizia etnica” cacciando i membri di altre etnie, considerate vicine al leader dell'opposizione Odinga».
I Mungiki sono i membri di una setta segreta, che crede nella divinità del monte Kenya, il luogo sacro del paese. I loro rituali prevedono stregonerie con sangue umano e nessuna pietà per i nemici o chi tradisce. Le vittime vengono trovate solitamente senza testa. I Mungiki si ispirano ai leggendari guerriglieri Mau Mau protagonisti della rivolta contro l’impero britannico negli anni Cinquanta, talvolta a colpi di lance e frecce avvelenate. Un altro loro mito è quello dei guerrieri Masai, perché vivono ancora come un tempo. I capoccia predicano il rifiuto dell’influenza bianca ed occidentale. I più devoti non usano biancheria intima, considerata roba d’importazione. Però il loro fondatore, John Maina Njenga, assomiglia ad un padrino mafioso. I Mungiki, prima della faida etnica, erano dediti a traffici criminali. Inoltre taglieggiavano i negozietti degli slum di Nairobi ed i padroncini dei matatu, i furgoncini che formano l’ossatura dei trasporti in Kenya. Le forze di sicurezza talvolta hanno chiuso un occhio, ma ogni tanto sono andati giù duri con i Mungiki che diventavano troppo forti. Con la “vittoria” del kikuyu Kibaki e la rivolta dell’opposizione sono tornati utili. Convinti di rappresentare la vera tradizione kikuyu e di dover dominare il Kenya sono scesi in strada all’arma bianca.
Uno dei veterani italiani di Nairobi ha rivelato al Giornale che i Mungiki si stavano preparando fin nei primi giorni di scontri. L’impressione è che contino su inconfessabili appoggi nelle forze di sicurezza e nei servizi segreti. I fedelissimi di Kibaki sono l’ex ministro della Difesa Njenga Karume, il rettore dell’università di Nairobi, Joe Wanjui ed un codazzo di discussi imprenditori.

Quasi tutti settantenni vengono chiamati dalla gente comune «la mafia del monte Kenya». La montagna sacra dei Mungiki, che ieri hanno fatto sapere: «Vendicheremo la morte dei nostri fratelli e sorelle. Nessuno ci fermerà. Per ogni kikuyu ucciso ammazzeremo tre nemici».
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