Il killer di Deborah al gip: «Datemi del cianuro»

Emiliano Santangelo continua a dare segni di squilibrio. Ma sorge il dubbio che possa trattarsi di una strategia

Piero Pizzillo

da Genova

«Ma c’è o ci fa», hanno chiesto ieri mattina al cronista alcuni curiosi che stazionavano nei pressi del palazzo di giusizia, in attesa di conoscere l’esito dell’interrogatorio di Emiliano Santangelo, il feroce omicida che non ha esitato a infierire con sette coltellate sul corpo di Deborah Rizzato, una brava ragazza che ha perseguitato per anni, dopo averla violentata quando era ancora una ragazzina. Per il momento è impossibile dare una risposta. Saranno gli esperti in psichiatria a dirci se è pazzo o se lo fa.
Cominciamo dall’interrogatorio relativo alla convalida del fermo di polizia avvenuto nel carcere di Marassi dove l’omicida è rinchiuso in isolamento e sotto stretta sorveglianza, presenti il pubblico ministero Cinzia Perroni, i difensori Filippo e Simone Gramatica, e il giudice Vincenzo Papillo. Il gip, sapendo che l’imputato si era già rifiutato di rispondere alle domande del pm, inizia con un approccio non proprio formale, dicendo pressappoco: «Mi dica, come va?». «Male, male non mi danno neppure la carta igienica». «Veramente mi riferivo alla posizione processuale». «Bene, bene, datemi del cianuro». Il giudice non ha risposto, altrimenti avrebbe dovuto dirgli che è un reato e che comunque in Italia non è prevista la pena di morte anche se da qualche parte auspicata per i delitti più efferati. Il dottor Papillo fa comunque presente a Santangelo che è accusato d’aver commesso un omicidio e che, conseguentemente, dovrà restare in carcere. A questo punto l’uomo dai tanti volti, prima con il sorriso smagliante e poi con un ghigno da far paura, diventa quasi ossequioso e deferente nei confronti del magistrato. «Grazie, grazie, dottore, come devo chiamarla?». «Mi chiami giudice», e basta. A questo punto Papillo tenta di ottenere qualche risposta, ponendo all’imputato le domande di rito (come si chiama, dove abita, ecc.) e legge l’imputazione (omicidio volontario) corredata dalle fonti di prove. «Guardi, non sono in grado di rispondere alle domande», afferma il killer, ribadendo così la volontà di avvalersi della facoltà di non parlare, prevista dalla legge. Il giudice, facendo propria la richiesta del pm, convalida l’arresto, dispone la custodia cautelare in carcere, e ordina la trasmissione immediata del fascicolo al tribunale di Biella, dove già il sostituto procuratore Antonio Bianco coordina le indagini. Per il momento l’omicida resta nel carcere di Marassi, dove già è sottoposto a terapia. I difensori hanno chiesto che Santangelo venga ricoverato nel reparto psichiatrico dell’ospedale San Maurizio Canavese, dove è stato in passato per un problema di personalità multipla e stato depressivo. Inoltre, hanno fatto istanza di perizia psichiatrica per valutare la capacità di intendere e di volere al momento dell’omicidio. Secondo il pm Perroni la perizia difficilmente potrà evidenziare un vizio totale di mente, al più di personalità multipla.
Prima dell’interrogatorio Santangelo ha avuto un colloquio con i difensori. «È molto agitato e in stato confusionale - hanno detto -. Le sue prime parole sono state: “Mia madre l’avete sentita, si è fatta viva,vi ha scritto?” Dopo ci ha ripetuto che era venuto a Genova per suicidarsi, e di non ricordare più alcunchè». Gli avvocati hanno subito scritto una lettera prioritaria alla madre, pronti a fare una richiesta di visita in carcere come vuole il figlio. Infine, si è appreso che nel corso della perquisizione domiciliare in casa dell’assassino sono state trovate tre cassette pornografiche e un libro sulle sette sataniche.

Inoltre, tra i documenti sequestrati in auto vi era un biglietto in cui era scritto «Satan». «Non esiste e non abbiamo mai parlato di piste sataniche» dichiarano i carabinieri del Comando provinciale di Biella che conducono le indagini.

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