Klimt, nei suoi disegni proibiti più angoscia che lussuria

Cinquanta nudi del grande austriaco al Castello Visconteo. Una visione desolata della vita che si rispecchia anche nelle lettere pubblicate per la prima volta in Italia

«Klimt. Disegni proibiti» è il titolo, volutamente pubblicitario, di una mostra che raccoglie una cinquantina di disegni del maestro austriaco, tutti incentrati sul tema del nudo (Pavia, Castello Visconteo, fino al 4 dicembre, catalogo Skira).
Che Klimt (1862-1918) amasse la figura femminile, e non solo dal punto di vista artistico, è testimoniato dai suoi biografi. Ebbe, dicono, quattordici figli, da donne diverse. Del resto la sua pittura, che dissolve il corpo nella luce dell’oro e nell’intarsio dell’arabesco, è capace anche, come si vede nei disegni, di una fisicità nervosa e sensuale, esplicita fino all’aggressività.
Quello che dava scandalo nell’arte klimtiana, però, non era solo l’erotismo, ma anche, e forse soprattutto, la sua visione del mondo. Il primo nudo esposto in mostra, ad esempio, è un disegno preparatorio per l’Allegoria della Medicina, una delle grandi tele (le altre erano La Filosofia e La Giurisprudenza), che gli vengono commissionate per l’Aula Magna dell’Università di Vienna, e che suscitano tante polemiche da costringere l’artista, dopo anni di lavoro, ad abbandonare l’incarico.
Il tema assegnato era trionfalistico, in linea col positivismo dell’epoca: «La vittoria della luce sulle tenebre». Klimt, però, capovolge il concetto, oltre che i canoni della pittura. Nella Medicina, dunque, non esalta le magnifiche sorti e progressive della scienza, ma dipinge una maga altera, un’Igea che porge al serpente la coppa dell’oblio e non si cura della disperata catena di uomini e donne, aggrediti dalla malattia e dalla morte, che vagano nel vuoto dietro di lei. Non c’è guarigione dal dolore, come non c’è guarigione dalla vita, sembra dire Klimt. Si può solo dimenticare.
Sempre di Klimt, escono ora, riunite organicamente per la prima volta in Italia, le lettere più significative, molte delle quali ritrovate solo di recente (Gustav Klimt. Lettere e testimonianze, Abscondita, pagg. 122, euro 18). Le lettere delineano un ritratto psicologico dell’artista, prima turbato dalla relazione clandestina con Alma Mahler, allora minorenne, poi legato a Marie Zimmermann (una modella da cui ebbe due figli) e alla stilista Emilie Flöge, la donna che frequentò tutta la vita e con cui intrattenne un carteggio fittissimo ma inspiegabilmente distaccato.
Oltre alle lettere, sono raccolte le testimonianze di amici, familiari, artisti che gli furono vicini, e che gettano luce sui suoi rapporti con Rodin, Egon Schiele e l’ambiente viennese. «Non valgo molto con le parole, non sono capace di parlare e di scrivere, soprattutto se devo dire qualcosa di me o del mio lavoro.

Anche se devo scrivere una semplice lettera mi prende l’angoscia, come se avessi la nausea» confessa Klimt stesso, in una pagina autobiografica. Ma proprio le sue difficoltà e le sue reticenze ci fanno capire qualcosa di lui, che altrimenti non avremmo potuto conoscere.

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