L’alfiere dei black bloc che vuol sposare i gay e chiede voti ai cattolici

Può pensare di rappresentare i milanesi e di amministrarli da Palazzo Marino, un politico che sceglie di schierarsi con gli autonomi? Può aspirare alla vittoria Giuliano Pisapia, un candidato che sceglie i «professionisti» della piazza? Domande più che lecite. Che animano, da mesi, il dibattito nell’elettorato milanese. La risposta è già sufficientemente intuitiva, ma i fatti possono essere ancora più utili a sciogliere il dilemma. E i fatti sono che Giuliano Pisapia l’avvocato del cambiamento, il guerriero del centrosinistra che, lancia in resta, è partito contro i soprusi di Palazzo Marino, deciso a infilzare Letizia Moratti e a sottrarle il suo scranno, continua a infilare un inciampo dopo l’altro. È scivolato subito sul tappeto di bucce di banane, preparatogli dalla sua stessa compagna, oggi moglie, a proposito della ben nota vicenda della casa di favore concessale dal Pio Albergo Trivulzio. In ottobre si è accodato, anzi ha cavalcato, un corteo di Fiom e «studenti», finito con i tafferugli e un «simpatico», cortesissimo assalto alla sede della Uil.
Poi, a dicembre, in un sabato di shopping prenatalizio, ha «benedetto» più ben noti guerrieri, gli antagonisti dei centri sociali, che, in corso Buenos Aires hanno scatenato il caos contro l’apertura, peraltro mai avvenuta, di una sede di Forza Nuova.
Sulla scorta di queste suggestive scampagnate si potrebbe rilevare che, come futuro sindaco di Milano, il rassicurante avvocato, dall’ancora più rassicurante dialettica, tanto rassicurante non sembrerebbe. «Pisapia lo lasciamo là dov’è - considera il vice coordinatore cittadino del Pdl Marco Osnato - non credo proprio che la città lo terrà in grande considerazione. Certo è grave che il candidato della sinistra difenda quattro antagonisti e aspiranti black bloc ingrigiti». D’altra parte perché stupirsi, se qualcosa è, come dire, nel Dna di famiglia. Avete presente Vittorio Agnoletto leader dei no global? Massì colui che, nel luglio 2001, in occasione del vertice del G8 di Genova coordinò le manifestazioni contro il G8 stesso e sempre colui che, grazie a questa sua spiccata vocazione, è volato, con la maglia di Rifondazione comunista, nientemeno che all’Europarlamento? Nati e formatisi, lui (Agnoletto) e il cugino Giuliano (Pisapia) sugli stessi banchi del glorioso liceo Berchet (dove peraltro ha avuto modo di consolidarsi anche l’imparziale Gad Lerner che, appena può, mette le sue trasmissioni al servizio del grande amico Pisapia) i due hanno quindi molte idee in comune. Soprattutto le idee di Rifondazione comunista visto e considerato che, nel 1996, anche l’avvocato Giuliano Pisapia è stato eletto deputato indipendente nelle liste di Rc ed è stato rieletto nel 2001, sempre nella medesima squadra.
Così, appena possono, Pisapia e Agnoletto parlano bene l’uno dell’altro. Ecco un paio di fulgidi esempi. Il primo tratto testualmente da una notizia di agenzia riguardo a un certa storiellina di droga: «Vivo apprezzamento» per la decisione del Gip di Rimini di archiviare la denuncia contro Vittorio Agnoletto, viene espresso dagli avvocati Giuliano Pisapia e Maurizio Ghinelli, difensori del responsabile della Lila. Soprattutto perché, secondo gli avvocati, «è chiarito che non è ipotizzabile il reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti in capo a chi, come Agnoletto, da anni combatte per salvare la vita delle persone che fanno uso di droghe e per aiutare i giovani a uscire dalla dipendenza...». Che sarebbe come dire: signori giudici avete fatto bene, perché prendersela con un sant’uomo? Tanto che il «sant’uomo» no global si è sentito in dovere di ricambiare, intervenendo nel suo blog sul voto a Milano: «Votare per Pisapia significa andare a votare per il sindaco senza turarsi il naso. Un’esperienza rara, quasi sconosciuta, per chi vive a Milano, per chi si considera di sinistra, per chi crede nei principi morali della trasparenza e dell’onestà, per chi rispetta i valori costituzionali dell’uguaglianza, dei diritti umani e sociali».
Galvanizzato da un simile appoggio è comprensibile che l’avvocato abbia annunciato una particolarissima marcia su Palazzo Marino il 16 o il 29 maggio, che sono, è il caso di ricordarlo, le date del primo turno elettorale e dell’eventuale ballottaggio. Una marcia, ha spiegato in uno dei suo molteplici comizi, «che sarà l’impegno di cambiamento che io e tante persone metteremo per far sì che Milano ridiventi la città dei diritti, della Costituzione e la capitale del lavoro». Eccellenti propositi. Ma la domanda resta sempre la stessa: può convincere l’intera città il candidato della Fiom, dei Centri sociali e il supporter delle unioni gay?
Del resto sui temi che più dividono l’opinione pubblica come coppie di fatto, famiglie gay, testamento biologico, Giuliano Pisapia non ha mai nascosto opinioni e progetti che, a suo parere, si attagliano perfettamente a Milano. Ma che, piccolo particolare, sono in netta contraddizione con il pensiero della Chiesa cattolica che, anche a sinistra, come si sa, gode di una certa considerazione. Sarà per questo motivo che lui si è arrabbiato non poco con le senatrici del Pd Emanuela Baio e Maria Pia Garavaglia, oltre che con l’Udc e gli altri centristi del Pd che lo ritengono un «candidato incompatibile»: «Non posso accettare che dal centro si dica che io non sono un punto di riferimento per i cattolici perché non è vero». Non sarà vero ma quando gli si chiede che cosa pensa del Registro civile per i gay lui dice che è una buona cosa e spiega: «Più che di coppie di fatto parlerei di famiglie, scelte affettive di persone che scelgono o sono costrette a non sposarsi, famiglie allargate. Il matrimonio è una possibilità ma non è un dovere, quelle delle coppie gay sono scelte che vanno rispettate». Ma l’area moderata del centrosinistra sembra proprio non gradire queste sue motivazioni. E visto che il matrimonio «è una possibilità e non un dovere» lui ha deciso, in piena campagna elettorale, di sposare, dopo tanti anni di convivenza la sua compagna Cinzia Sasso. Location Venezia, celebrante il suo amico sindaco Giorgio Orsoni, nella sala di Palazzo Cavalli, sullo sfondo del Canal Grande e del Ponte di Rialto.

Il tempo di un sì e poi ritorno in tutta fretta a Milano per obblighi di propaganda. D’altra parte l’amore non ha bisogno di tanto. Come si dice? Due cuori e una capanna. O meglio due cuori e una casa del Pio Albergo Trivulzio.
(2-Continua)

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