«L’amore? Ora è crepuscolare»

Michela Giachetta

È ancora in viaggio Michele Placido. Dopo il successo cinematografico di Un viaggio chiamato amore (e dopo il flop di Ovunque sei), l’attore foggiano torna a teatro con un Viaggio d’amore, in scena questa sera a Ostia Antica, alle 21. Un percorso sentimentale da Dante a Montale, passando per Catullo e Gozzano, con musiche e canzoni dal vivo. La voce di Michele Placido si alternerà ai brani di Nino Rota, Mikis Theodorakis e altri grandi compositori eseguiti da Tom Sinatra alla chitarra e al mandolino e dalla fresca voce di Arianna (nome d’arte di Arianna Martina Bergamaschi), che interpreterà i più famosi brani d’amore italiani. Ancora una volta l’amore è al centro di uno degli spettacoli ideati da Placido. È una scelta o un caso? «È che mi chiedono questo...».
Scusi?
«Durante l’estate, nei Festival, è il tema più richiesto».
È l’unico motivo per cui porta in scena queste poesie?
«Sono brani che amo. Leggerò testi che sono per me ricordi adolescenziali, alcuni legati al periodo in cui andavo ancora a scuola, altri legati all’Accademia d’arte drammatica che ho frequentato: Dante e Leopardi sono gli autori con cui si faceva gavetta. Senza contare poi che sono i brani che mi hanno salvato».
La poesia l’ha salvata?
«Quando ero al liceo, l’unica materia in cui avevo buoni voti era l’italiano. La professoressa rimaneva incantata dalla mia lettura. Ho capito allora che avevo delle potenzialità. Che potevo far diventare un mestiere quello che per me era un piacere. Salvato dalla bocciatura e da un futuro di disoccupato».
Come è cambiato il suo approccio al testo poetico da ieri, quando era uno studente in cerca di futuro, a oggi, che è un professionista?
È stata fondamentale la lezione di Orazio Costa (è suo il metodo base della mimesi che si impara all’Accademia ndr). Mi ha insegnato a pretendere molto dal mio corpo e dalla mia voce».
Qual è oggi il poeta che la emoziona di più?
«Gozzano. Dante così come Catullo danno lezioni, sono professionisti dell’amore. Gozzano è, invece, un piccolo poeta».
Più che piccolo, crepuscolare direi, malinconico... È la sua visione dell’amore? Crepuscolare, malinconica?
«Alla mia età mi rendo conto che l’amore è un mistero senza fine, di cui abbiamo necessità di cibarci: è questa la mia visione dell’amore».
E l’amore per il teatro?
«Molti credono che sia per me una cosa di secondo ordine.

A Roma, ad esempio sono venuto l’ultima volta tre anni fa al teatro Argentina con l’Otello, ma allo stesso tempo mi sono dedicato a laboratori teatrali, letture di testi, ho portato in giro questo spettacolo. Insomma è come una moglie, da cui alla fine si torna sempre».

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