Federico Guiglia
Chissà se nellandirivieni tra Camera e Senato per riferire di Telecom, il presidente del Consiglio troverà del tempo per fare una telefonata ai vertici della Svp, il partito alleato a Bolzano e a Roma: i suoi tre voti a palazzo Madama non sono proprio irrilevanti con certi chiari di luna per la maggioranza (e coi numeri che si ritrova o non si ritrova in un ramo del Parlamento). Romano Prodi potrebbe così domandare, per esempio a Luis Durnwalder, il potente presidente della giunta provinciale a Bolzano, perché non abbia speso un po delle sue proverbiali energie per cercare, anche nella sua veste istituzionale di rappresentante della Repubblica italiana, di convincere i promotori austriaci a desistere dal pasticcio in cui si sono invece infilati.
Desistere dal proporre e far approvare al Parlamento di Vienna una risoluzione che, se dovesse mai diventare realtà legislativa, finirebbe per creare il più serio incidente diplomatico fra due Paesi membri dellUnione europea dallallargamento in avanti (e indietro). Il documento da poco votato «impegna», infatti, la prossima legislatura in Austria a inserire una clausola nella riforma costituzionale in programma per attribuire a quel Paese la funzione tutrice «delle popolazioni austriache dellAlto Adige», testuale; anche se in tedesco suona Südtirol, ma pur sempre al sovrano territorio italiano formalmente si riferisce, posto anche il fatto che il toponimo Südtirol è stato affiancato a quello di «Alto Adige» nella riforma costituzionale in Italia approvata dal centrosinistra nella precedente legislatura. Insomma, non possiamo far finta daver capito male: proprio al nostro Alto Adige-Südtirol, tale quale scolpito nella Costituzione della Repubblica, quella risoluzione fa riferimento. Non occorre mobilitare i giuristi per comprendere che cosa significa che una nazione dEuropa scriva nella propria legge fondamentale dessere la mamma paladina - anzi, dati i quasi novantanni di appartenenza dellAlto Adige allItalia, la bisnonna protettrice - di una parte dei cittadini di un'altra nazione europea; perché nella provincia di Bolzano non esistono, comè noto, «popolazioni austriache», bensì cittadini italiani di lingua tedesca, ladina e italiana. E ogniqualvolta Vienna ha tentato, in passato, di introdurre nelle controversie politico-diplomatiche con Roma la dizione di minoranza «austriaca», sempre è stata costretta a cambiarla in «di lingua tedesca» nei fori internazionali. Finché si scherza si scherza, ma lAccordo De Gasperi-Gruber del 46, i due statuti di autonomia regionale e provinciale liberamente accordata dal Parlamento italiano, la quietanza liberatoria con cui lAustria ha riconosciuto conclusa la vertenza infinita, mai hanno parlato di «popolazioni austriache» in Alto Adige: non siamo al tempo di Cecco Beppe.
Dunque, iniziativa solo ridicola o pure politicamente insidiosa? Sarebbe un po come se la Germania indicasse nella sua Costituzione di considerarsi lo Stato tutore delle «popolazioni tedesche dellAlsazia e della Lorena»: passato lattimo di comico smarrimento, che ne direbbe la Francia? E quanto sarebbe compatibile lappartenenza dello Stato rivendicatore con lUnione europea, i cui principi-cardine sanciscono il rispetto fra gli Stati, non lanacronismo di carta che contraddice tutti i trattati firmati da Vienna da St. Germain in poi, oltre che la realtà verificabile da chiunque di una «minoranza di lingua tedesca» super-tutelata, felice e benestante come nessunaltra minoranza nellintera Unione europea?
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