Là dove l’acqua s’è accanita con più violenza

Là dove l’acqua s’è accanita con più violenza

Fereggiano, parte alta. Oltre largo Merlo e poi su su dove il torrente nasce alla confluenza tra rio Molinetto e rio Finocchiara, a Pedegoli. C'è un 4 novembre di cui quasi nessuno parla, quello di chi spala il fango lontano dalle telecamere perché a Quezzi, causa divieto di transito, è difficile arrivare. È qui che il «tumulto del cielo» si è scaricato con più violenza, è qui che i piccoli corsi d'acqua che creano dal nulla il Fereggiano si sono gonfiati da un momento all'altro cominciando a seminare distruzione. Via del Molinetto, dove una volta si portavano le olive al frantoio, non esiste quasi più: un'onda di 4, c'è chi dice 6 metri l'ha squassata spezzando la fognatura, inondando le case, danneggiando gravemente i tanti ponticelli antichi che portavano alle abitazioni delle lavandaie di quello che una volta era un paesino di villeggiatura per i signori di Genova. Un foglio sdrucito ancora recita «Per anni ci sono passati i muli, ora gli asini le asfaltano» a testimoniare la lotta portata avanti da tempo dai residenti per proteggere un angolo in cui il tempo pareva essersi fermato. Ma il torrente, che non sa leggere, ha deciso di seppellire in un istante tutte le polemiche umane. E così in fondo alla piccola valle non si può più andare: la signora del civico 40 ha dovuto abbandonare la sua casa il cui tetto è pieno di pietre e il sentiero per i laghetti dove i ragazzini facevano il bagno la domenica è interrotto. A osservare come qui le case si affollano lungo il greto sembra quasi un miracolo che non ci siano state vittime; molti dei motorini che erano lungo la creuza non sono stati neanche più ritrovati. «Quando ci siamo resi conto di quello che stava succedendo siamo scappati», racconta un pensionato mentre da solo libera dai rami il letto del rio per evitare che alle prossime piogge il dramma si ripeta. Seguendo il corso del rio Finocchiara, poco più in là, si odono le stesse parole: la furia delle acque confluite anche dalla vecchia cava in quest'altro piccolo e antico borgo non sembra essere stata altrettanto devastante ma il fango è in ogni caso tanto. Mugugni però non se ne sentono: «È andata bene così». D'altronde sono tante le strade e le stradine a Quezzi alta dove l'alluvione ha lasciato il segno e il quartiere paga non solo la cementificazione ma anche l'abbandono di fasce e terrazzamenti. Nella piccola via Mottachiusura non si può più passare: un ruscello della cui esistenza troppi costruttori si erano dimenticati ha tirato giù un muro e invaso una casetta intonacata di fresco. In via Valgoi, si riesce a stento a credere che un rigagnolo possa aver portato a valle massi così enormi, mentre laddove il Comune ha iniziato i lavori per costruire un ascensore inclinato Amt che dovrebbe andare a sostituire la linea 82 c'è chi ha lamentato un bombardamento di pietre.

Espropriati i terreni e tagliati gli alberi, gli operai stavano proprio iniziando a scavare quando le piogge hanno investito la zona, scaricando detriti - accusa chi c'era - contro i palazzi sottostanti. «Un po' troppo per un'opera inutile che manco vogliamo», confidano gli abitanti.

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