Cera, quest'anno, un'attesa particolare per la relazione del Presidente dell'autorità antitrust Antonio Catricalà. Alcune segnalazioni del suo ufficio, infatti, si trovano alla base dei provvedimenti economici assunti dal ministro Bersani in tema di liberalizzazioni: licenze dei taxi, abolizione delle tariffe minime per i professionisti, maggiore trasparenza sui conti correnti bancari. E Catricalà stesso non aveva mancato di commentare positivamente la circostanza. Il testo del suo intervento ha corretto gli eccessivi entusiasmi. E conferma quanto a caldo, appena letto il provvedimento, si è sostenuto sulle colonne di questo giornale.
Il problema della concorrenza in Italia non si risolve con alcune misure tanto marginali quanto spettacolari. Dopo aver ascoltato la sua relazione, di una cosa siamo ancora più convinti. I provvedimenti del governo Prodi in materia di liberalizzazioni sono, più che altro, uno specchietto per le allodole. Per due motivi: innanzi tutto, al cospetto del numero e della vastità delle segnalazioni fatte dall'autorità sono troppo limitati. Solo per riferirsi all'ultimo periodo, l'Antitrust ha fatto segnalazioni in tema di energia, trasporto pubblico locale, società cooperative, ruolo delle organizzazioni sindacali nell'esercizio di alcune funzioni di carattere pubblico quali, ad esempio, i patronati e i centri di assistenza fiscale. Non si è qui a richiedere tutto e subito. Va però evidenziato che una politica di liberalizzazione, se perde un respiro strategico generale, può persino divenire socialmente iniqua e discriminatoria.
E qui s'innesca il secondo motivo di critica ai provvedimenti in oggetto. Essi, infatti, oltre a ignorare molti degli aspetti della concorrenza che avrebbero assunto una ben diversa rilevanza ai fini della competitività del Paese, presentano una contraddizione interna tra norme che tendono a liberalizzare ed altre che, invece, mortificano la libera imprenditoria non organizzata. A tal proposito, ci farebbe sinceramente piacere conoscere quale sia l'intimo convincimento del ministro Bersani sulle costrizioni poste dal suo collega Visco a professionisti e piccoli imprenditori che avranno la conseguenza pratica di deprimerne l'attività economica, oltre che accennare ad una vera e propria militarizzazione della vita civile. In questo contesto, le liberalizzazioni selettive di Bersani, piuttosto che un contributo alla concorrenza, rischiano di trasformarsi in un poco influente complemento, concesso al fine di rendere apparentemente più moderna la normalizzazione di quell'esercito di partite Iva dalle cui file, negli anni Novanta, è esplosa la domanda di modernizzazione economica del nostro Paese.
Il giudizio è netto. Ma esso consente di affrontare con equità, seppure da un'ottica di parte, uno dei principali nodi implicitamente posti da Catricalà: il rapporto tra l'autorità da lui presieduta e la politica. Ed è un aspetto che, a ben leggere le venti cartelle a stampa, parte da problemi contingenti per affrontare aspetti culturali di fondo.
L'autorità, è fuori discussione, fa bene a valorizzare le proprie iniziative. Ma dovrebbe astenersi dal valutare l'utilizzo politico che di esse viene fatto. E ciò non solo al fine di ribadire una necessaria indipendenza. C'è qualcosa di più. Storicamente, infatti, l'attività di tutela del mercato ha avuto due interpretazioni che, schematicamente, potrebbero definirsi di marca anglosassone e continentale. Nel primo caso, la tutela del consumatore è stata interpretata come un obiettivo al quale pervenire attraverso le strade dell'empiria e della pragmaticità. Non è stato posto un ideale di mercato perfetto né un ottimo di concorrenza. Si è cercato, nelle condizioni date, di comprendere volta a volta quale fosse effettivamente il vantaggio per il consumatore. Nel modello continentale, di contro, l'attività delle autorità per la tutela della concorrenza ha sovente ceduto alla tentazione di darsi la missione di correggere le presunte storture del mercato, correndo così il rischio di considerare la difesa dell'individuo-consumatore un mero strumento per raggiungere un fine superiore. In tal modo, l'azione delle autorità continentali, inevitabilmente, si è politicizzata, divenendo finalistica e, per questo, incapace d'individuare le condizioni reali che limitano il mercato.
Vista in tale contesto, la relazione di Catricalà appare in bilico tra due grandi prospettive culturali. Si è fatta apprezzare per la positiva remissione di un atteggiamento pregiudizialmente ostile nei confronti del mondo delle imprese. Ma, d'altra parte, è risultata riluttante di fronte alla necessità d'individuare i problemi concreti che bloccano la concorrenza in settori cruciali. Solo per fare degli esempi, nell'ambito del gas-energia, il ruolo che ricopre Enel - proprietario della rete di distribuzione e, al contempo fornitore-importatore - non sembra proprio possa essere considerato senza tener conto delle complessive carenze di cui l'Italia soffre nel settore. Per quanto concerne il credito, non è emerso chiaramente se esista o meno, con riferimento al ruolo condizionante tutt'oggi esercitato dalle fondazioni bancarie, un problema di cartello da sconfiggere. Così come, per il settore delle assicurazioni, non è stato detto se e quanto un welfare occulto, fatto di raggiri e piccole truffe, condizioni una possibile regolamentazione più favorevole all'utente.
La relazione di quest'anno, insomma, apre e non chiude una contrapposizione di fondo tra chi, da liberale, è dalla parte di un consumatore in carne ed ossa pur conscio dell'inevitabile imperfezione della sua difesa.
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