Federico Guiglia
Levocazione del «centro» come il luogo più sognato dagli elettori della nostra Repubblica - e non si capisce mai se si alluda alla «prima» del 46 o alla «seconda» del 94 - è diventato lultimo reality della politica: dibattito più che virtuoso, virtuale. Se infatti si prendono le più recenti elezioni politiche, europee, perfino amministrative (ognuno scelga il riferimento che vuole), si scoprirà che le ali minoritarie non sono state soltanto quelle «estreme»; sono state anche quelle rappresentate dai partiti che nei rispettivi schieramenti avevano fatto proprio del centro il loro maggiore motivo di richiamo e di riconoscimento. A conti fatti, i cittadini identificabili come «di centro», cioè lopinione pubblica che ama anteporre il pragmatismo allideologismo e che perciò è portata con naturalezza verso lidi moderati e mediani, ha premiato i partiti di Pier Ferdinando Casini o di Clemente Mastella in percentuali non stratosferiche: fra il sette e lotto per cento complessivamente.
In verità, lantico elettore democristiano che può essere preso a esempio del centrista per antonomasia (ma lo stesso andrebbe fatto per quanti si riconoscevano laicamente nel Pli e nel Pri), dal big bang del 92/94 in poi non ha più rinvigorito alcuna «forza di mezzo» a cavallo del bipolarismo. Vale lopposto: tutti i tentativi da «terzo polo» sono falliti uno dopo laltro, a prescindere da chi li avesse promossi o guidati. Significa forse che gli italiani una volta sostenitori della Dc, del Pli, del Pri si sono oggi evaporati, o che le nuove generazioni coltivano meno anti-ideologia dei loro padri? Certo che no: significa, molto semplicemente, che questampia e sempre prevalente fetta di connazionali anziché puntare sugli eredi diretti, per così dire, in maggioranza ha scelto nuove formazioni percepite come «di centro» almeno quanto quelle del tempo che fu. Ha scelto in maggioranza non lUdc o lUdeur (o in precedenza il Ppi) come forse molti si sarebbero attesi, ma Forza Italia, An e la Margherita quali partiti giudicati al centro della politica; partiti che però non si sono prestati alla retorica dellastruso e astratto terzo incomodo in realtà comodissimo, guardando invece rispettivamente a destra e a sinistra. Di più: che hanno fatto del loro stare nel centrodestra o nel centrosinistra una pre-condizione politica per qualsivoglia strategia verso il centro.
Del resto, è quel che succede con la stessa e pur scalpitante Udc, schierata non in mezzo al guado ma da una parte sola, e chiara: e non per caso Casini ha voluto puntualizzare che il suo distinguo non va confuso con le velleitarie tentazioni di terze vie fra lUnione e la Casa delle libertà. Si sa, tertium non datur. Ma allora bisognerebbe anche smetterla con questa mitologia del centro quale incantevole Repubblica di Platone, dove albergherebbe la nobiltà dei programmi politici e la perfezione dei valori repubblicani; come se le destre e le sinistre del nostro tempo fossero solo una fastidiosa intrusione nella leggenda. E soprattutto come se il centrista che vota, non facesse già le sue ponderate scelte «di centro», premiando infatti non tanto chi invoca il centro come panacea dogni male, ma chi viene ritenuto in grado di praticarlo in modo concreto, magari senza stare tanto a sbandierarlo a dritta e a manca. Il centro come il posto della ragionevolezza, non come lavamposto della compromissione. Il centro come un luogo aperto e alternativo, non come il fortino dove poter «inciuciare» con laltra parte.
Guardando alle realtà delle cose, invece che al reality, non sarà difficile per Casini e per lUdc ritrovare la strada maestra del centro.
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