Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica
A pensar male si fa peccato. Dunque lo diciamo subito: su questa storia di Montecarlo riconosciamo i nostri peccati. Perché intorno alla vicenda dell’appartamento donato dalla contessa Colleoni ad An, venduto a prezzi stracciati a società off-shore dei Caraibi e poi affittato al «cognato» di Fini, i buchi neri si sprecano, le versioni date e smentite pure, le coincidenze inquietanti si autoalimentano di pari passo a nuove rivelazioni shock provenienti da documenti segretati nei paradisi fiscali dove An sentì il bisogno di rivolgersi per alienare il bene di una vecchietta simpatizzante fin dai tempi del Msi. E certo non contribuiscono a fare chiarezza i silenzi di Fini e dei familiari acquisiti, oltreché degli amministratori del patrimonio di An, Donato Lamorte e Francesco Pontone, finiani di ferro, che ancora ieri hanno fornito versioni che oltre a fare a cazzotti con le loro stesse (precedenti) dichiarazioni, divergono clamorosamente con quelle di alcuni testimoni diretti dell’affaire immobiliare nel Principato.
Lamorte prima aveva detto di non saperne nulla dell’immobile, e di rivolgersi a Pontone. Poi s’è ricordato d’aver visto l’appartamento nel 2008, e che era fatiscente. Ma sbagliava data, e la sbagliava di ben otto anni perché nel 2000, appena deceduta la contessa, con altri esponenti di An andò a prendere possesso dell’appartamento in Boulevard Charlotte 14, parlando con gli inquilini e con coloro che erano, già allora, interessati a mettere le mani sull’immobile. Oggi Donato Lamorte e Francesco Pontone vanno pericolosamente oltre l’evidenza. Il primo, al Fatto Quotidiano, dice due cose: che siccome l’appartamento era fatiscente «più della cifra che ci abbiamo tirato fuori, 300mila euro, di certo non poteva valere»; e che non sa com’è stata scelta la società (off-shore) che ha acquistato l’immobile di Montecarlo posto che «di solito prendevamo chi offriva di più». Il secondo, al Corriere della Sera, di cose curiose ne dice parecchie: che «l’appartamento costava tanto al partito di condominio», che «ordinammo una perizia e il valore indicato era 300mila euro», e che «prima di quel giorno (della vendita, ndr) non ci erano arrivate offerte milionarie. Trovatemi le raccomandate: io non ne ho viste, vi assicuro».
Tralasciando i passaggi in cui Lamorte non spiega assolutamente i motivi che portarono lui ed An a scegliere come acquirente una società off-shore nel paradiso fiscale di Santa Lucia, la risposta data al perché proprio l’inquilino-cognato del suo presidente è riuscito ad occupare quell’appartamento, è un capolavoro: «Ma chi è Tulliani? Per me resta un estraneo, io ho scoperto solo un paio di mesi fa che quello era il cognome della signora Elisabetta (al Giornale, il 29 luglio, sapendo chi era Tulliani era invece caduto dalle nuvole: «Tulliani? E chi Tulliani? Mai sentito questo cognome, non mi dice niente»).
Pontone, ovviamente, non entra nel merito della conoscenza, da parte di Fini, della vendita dell’appartamento di Montecarlo che finirà nella disponibilità del fratello della sua compagna. Eppure il suo collega Lamorte ripetutamente lo fa presente sui giornali. Ancora ieri sul Fatto: «Chi decideva la vendita degli immobili era il senatore Pontone di concerto con il presidente di An, Fini (...) Immagino che Pontone lo avesse messo (a Fini, ndr) a conoscenza della vendita»). E prim’ancora, per la proprietà transitiva, sul Corriere del primo agosto: «Non me ne intendo di queste cose, quando Almirante mi diceva firma, io firmavo».
A smentire definitivamente Pontone e Lamorte, oltre a uno degli aspiranti acquirenti che intervistiamo in queste pagine e che ha invano offerto al partito, ripetutamente, oltre un milione di euro per una casa poi rivenduta a un quarto del valore, ci pensa un parlamentare del Pdl, che fu protagonista diretto della gestione dell’appartamento di Montecarlo. Antonio Caruso, garante del comitato di gestione del patrimonio di An, è preciso coi ricordi, analitico nei dettagli, sconcertato da quel che sta leggendo sul Giornale: «Ho trattato la vicenda dell’appartamento di Montecarlo, ho seguito le vicende personali postume della contessa, ma a differenza della comitiva di An che andò in gita per vedere l’appartamento della Colleoni, io mi mossi da solo. Presi contatto con il nostro ufficio consolare a Montecarlo per farmi accreditare presso un notaio monegasco che mi desse assistenza su questo appartamento. Mi fu consigliato il notaio Aureglia. Andai dal notaio che mi diede consigli su come fare dal punto di vista fiscale e giuridico, in osservanza delle leggi locali.
In quell’occasione poi incontrai anche altre persone collegate all’immobile di Boulevard Princesse Charlotte 14 (l’amministratore del condominio, l’architetto e altri). Dopo qualche mese, prima dell’entrata in vigore dell’euro, dunque entro il 2001, venni contattato da una persona che facendo riferimento all’incontro dal notaio mi disse che c’erano più soggetti interessati all’acquisto dell’immobile e che offrivano fino a 6 milioni e mezzo di franchi francesi, pari a due miliardi di lire dell’epoca. Cifra trattabile, aggiunsero. Risposi loro – continua Caruso - che avevo esaurito il mio compito, non mi occupavo più della vicenda dell’appartamento ma che avrei comunque chiesto a Roma».
A chi si rivolse Caruso? A colui che sul Corriere ieri ha giurato di non aver mai ricevuto una proposta d’acquisto: «Ho chiamato subito il senatore Pontone – prosegue Caruso - l’ho messo al corrente della richiesta d’acquisto, ma lui rispose che i tempi ancora non erano maturi e che per il momento non se ne faceva niente». Ricorda male Pontone? «No, non è un problema di memoria. Qui i problemi sono evidentemente altri.
Poco prima che il Giornale iniziasse questa inchiesta noi garanti aveva iniziato ad affrontare spinose questioni interne al partito. Dal mio punto di vista quanto sta emergendo mi inquieta, mi sconvolge, mi rende profondamente malinconico. Come mi spiego che nella casa della contessa oggi ci abita il cognato di Fini? Non me lo spiego».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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