L’IMPERDIBILE OCCASIONE

A ventiquattro ore dalla conferma dell’uccisione dell’emiro del terrore Abu Musab al Zarqawi, è ancora difficile stabilire se questo successo militare americano-iracheno rappresenti una svolta nella crisi irachena oppure una delle tante battaglie di questa lunga guerra. Il fatto che solo poche ore dopo l’eliminazione del secondo più ricercato terrorista del mondo (con una taglia sul capo di 25 milioni di dollari pari a quella del terrorista numero uno Bin Laden) quindici iracheni siano caduti vittime di attacchi terroristici (e che truppe americane siano state trasferite dal Kuwait a Bassora per tentare di mettere fine ai colossali furti di petrolio perpetrati con la connivenza della polizia dagli oleodotti locali), dimostra che la violenza e l’anarchia non finiranno rapidamente in Mesopotamia.
Per il presidente Bush si tratta comunque di una benvenuta iniezione di popolarità in una guerra iniziata da lui per una causa giusta ma condotta nella maniera sbagliata. Per l’esercito statunitense si tratta di un successo indispensabile per rilucidare un po’ il blasone ammaccato da fallimenti militari, organizzativi, ma soprattutto di autorità morale a causa di comportamenti vergognosi per l’onore delle armi e della democrazia. Inoltre per dimostrare che una volta tanto l’intelligence ha funzionato. È stato infatti realizzato un delicato coordinamento fra una sofisticata azione aerea, lo spiegamento di truppe irachene sul terreno e l’azione di unità speciali della Giordania che non ha mai cessato di dare la caccia a questo suo connazionale islamico e antimonarchico.
Al Zarqawi si era trasformato in un elemento centrale del gioco di violenza politica terrorista islamica dentro e fuori dall’Irak. La sua origine palestinese, la spregiudicatezza con cui era riuscito a travasare il mito eroico antiamericano di Al Qaida dall’Afghanistan alle stragi sciite in Irak, sembrava averlo trasformato in un concorrente di Bin Laden sull’intero piano mediorientale. Probabilmente si trattava di una immagine esagerata perché le responsabilità nella crisi irachena sono ben più complesse e profonde. Tuttavia se nessuno può sottovalutare l’importanza di questo successo americano che coincide - forse non a caso - con la soluzione del difficile problema della scelta del ministro della Difesa del governo di Bagdad, proprio a causa dell’enorme prestigio e fama di invincibilità di Zarqawi e della sua immagine di nuovo Saladino vittorioso sui «crociati invasori» (senza dimenticare i suoi messaggi ambiziosi di riconquista del mondo all’Islam) la sua morte è un rude colpo per il terrorismo islamico.
In una società profondamente fatalista come quella musulmana l’idea dell’alleanza della religione con la violenza settaria è altrettanto esaltante nel successo quanto deprimente nella sconfitta perché mette in causa la volontà di Dio e la sua retta comprensione da parte dei credenti.


L’enorme pubblicità data alla fine di Zarqawi dalle Tv arabe e lo choc che questa morte ha creato nel mondo islamico lo dimostrano. Tutto ora sta a vedere come Washington saprà sfruttare a suo vantaggio l’avvenimento o sperperarlo una volta di più.

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