Tommaso Padoa-Schioppa mercoledì sera, di fronte al Senato della Repubblica, ha negato che i quattro ufficiali della Finanza che Vincenzo Visco tentò di rimuovere s’occupassero di Unipol. La decisione del vice ministro che ha dato il via al braccio di ferro con il comandante delle Fiamme gialle e, infine, alla destituzione del generale, sarebbe dunque un’invenzione dei giornalisti, anzi del Giornale. «Contrariamente a quanto cerca di far credere una campagna di stampa in corso da circa un anno, il nesso manca di ogni riscontro – ha detto il ministro –. Che gli instancabili corifei di questa tesi non abbiano saputo a tutt’oggi citare un solo fatto a sostegno del loro canto è di per sé una forte ragione per pensare che il nesso con Unipol sia inesistente».
Padoa-Spocchia forse prima di parlare avrebbe fatto bene a documentarsi, evitando di prendere per oro colato il compitino che gli ha preparato il suo braccio destro. Se il ministro si fosse letto l’editoriale dell’ex direttore di Repubblica, Eugenio Scalfari, certo avrebbe evitato una gaffe. Nel suo sermone domenicale il fondatore del più importante organo di stampa governativo ha scritto che Visco tentò di cacciare quegli ufficiali perché li riteneva responsabili d’aver passato a noi del Giornale il famoso brogliaccio della telefonata in cui Fassino diceva al presidente di Unipol, Giovanni Consorte: «Allora, adesso abbiamo una banca?». L’accusa – per altro infondata – d’aver dato le intercettazioni al Giornale presuppone che quei documenti fossero nelle mani dei finanzieri. Padoa-Schioppa pensa che li avessero per leggerli la sera prima di addormentarsi oppure perché era materiale sul quale stavano svolgendo accertamenti? O forse crede che la Gdf li abbia trovati dentro un cassonetto?
Se Tps fosse un uomo prudente avrebbe evitato di dire in un’aula parlamentare: «Se vi sono prove in contrario le si producano». Perché le prove esistono e, visto che lo ha richiesto, le produciamo. Quella che pubblichiamo oggi è la lettera che il procuratore capo di Milano, Manlio Minale, inviò il primo giugno dello scorso anno al comandante della Guardia di Finanza della Lombardia, il generale Mario Forchetti, uno degli ufficiali che Visco voleva rimuovere. In essa si lodano il colonnello Rosario Lorusso e il colonnello Virgilio Pomponi. Chi sono costoro? Altri due ufficiali di cui Visco ordinò la rimozione.
Ma c’è di più: Minale scrive che i comandanti del nucleo regionale e provinciale della tributaria sono stati collaboratori preziosissimi nell’indagine Antonveneta. «Nel momento in cui questa Procura si avvia a formulare le prime conclusioni nell’indagine Antonveneta, vicenda giudiziaria esemplare sotto ogni aspetto ed in particolare con riguardo alla collaborazione professionalmente qualificata offerta dalla Guardia di Finanza e dai reparti già richiamati (quelli di Lorusso e Pomponi, ndr) desidero farle pervenire il più vivo compiacimento e personale apprezzamento». Forse Padoa-Schioppa non lo sa, ma dall’inchiesta sulla scalata alla banca Antonveneta, quella in cui rimasero coinvolti Giampiero Fiorani e anche l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, è nata quella su Unipol. Le Fiamme gialle arrivarono alla compagnia delle Coop ascoltando le conversazioni dell’amministratore delegato della Popolare di Lodi. Fiorani parlava spesso con il suo omologo in Unipol e la Gdf cominciò ad ascoltare anche le chiamate di Consorte.
È così che furono registrate le chiacchiere del banchiere rosso con Fassino, D’Alema e Nicola La Torre. Sono i reparti dell’allora colonnello Rosario Lorusso e del colonnello Virgilio Pomponi a intercettarli. E sempre Lorusso e Pomponi sono i due ufficiali che, un mese e mezzo prima che Visco ne disponga l’allontanamento, Minale vuole che rimangano alla guida dei loro reparti «nell’interesse delle indagini e per la continuità nell’azione di comando».
P.s. Quelle intercettazioni da cui parte il caso Unipol, ovviamente, sono le stesse su cui Bertinotti e Marini nei prossimi giorni vorrebbero mettere il segreto di Stato.
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