L’incubo del governo: capolinea a Kabul

Fabrizio de Feo

da Roma

«Kabul sarà la tomba del governo. A meno che i pacifisti non si trasformino in paci... finti». Francesco Storace ricorre al consueto campionario di battute per dettare la sua previsione. Ma il suo ragionamento è serio e si basa sulla conoscenza del regolamento del Senato che prevede l’obbligo di esprimere il parere di costituzionalità sul decreto di rifinanziamento della missione in Afghanistan. Ebbene, spulciando il regolamento di Palazzo Madama, Storace ha individuato un primo possibile scoglio per l’esecutivo prima del voto dell’assemblea.
«In Senato è obbligatorio il parere di costituzionalità del decreto (cioè sulle caratteristiche di necessità e urgenza) da parte della commissione Affari costituzionali», spiega Storace. «Qui il centrosinistra conta su 14 voti contro i 13 del centrodestra ma tre dei membri di maggioranza sono Malabarba, Villone e Grassi». Cioè 3 dei 9 senatori dissidenti. «La Cdl chiederà che il governo dica in commissione se intende porre la fiducia - prosegue Storace - e se il rappresentante dell’esecutivo dovesse rifiutarsi, i tre dissidenti potrebbero votare no sul parere di costituzionalità» mandando in minoranza il governo. In questo caso l’Aula avrebbe 5 giorni di tempo per confermare o meno il parere della commissione. Naturalmente si tratta solo di ipotesi. Se per martedì, quando presumibilmente si dovrebbe riunire la commissione, la maggioranza si fosse già accordata sulla fiducia, potrebbe confermarlo in commissione e i dissidenti, in questo caso, hanno già confermato il proprio sì.
Il problema, però, è che non c’è unanimità dentro il centrosinistra sull’opportunità di porre o meno la fiducia. La richiesta, infatti, metterebbe sotto i riflettori del Paese la debolezza dell’esecutivo, esponendolo a un voto al cardiopalmo. «Appendere il governo a un voto di fiducia equivarrebbe a un tracollo in termini di autorevolezza e credibilità» dice Roberto Villetti, vicesegretario dello Sdi, che insieme all’ala riformista della maggioranza vorrebbe evitare la «militarizzazione» del voto. Per evitare questo rischio il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, ha dedicato il weekend ai contatti con i segretari e i capigruppo della coalizione, per elaborare una strategia comune. Il centrodestra, comunque, ha già fatto sapere che non voterà la fiducia, nel caso il governo dovesse decidere in questo senso. E ieri lo ha ribadito a più voci.
La dimostrazione che l’Unione fiuta il pericolo arriva anche dall’intervista al Corriere della Sera di Franco Marini con la quale il presidente del Senato tenta di lanciare un ponte verso l’opposizione. «Sulla missione in Afghanistan occorre aprire un dialogo fra maggioranza e opposizione». Il governo non deve «arroccarsi» poiché il voto di fiducia «a lungo termine indebolisce la dialettica democratica ed esaspera la conflittualità parlamentare. Finora la maggioranza ha retto - rileva il presidente di Palazzo Madama - però non è detto che il miracolo possa durare all’infinito. Vorrei ricordare che nel dibattito sulle cellule staminali ha vinto per un voto» e grazie al fatto che «due senatori dell’opposizione hanno sfilato la scheda».
Sullo sfondo, però, continuano le pressioni incrociate tese ad ammorbidire la resistenza dei «dissidenti» dell’Unione. E il fronte dei «duri e puri» inizia a perdere pezzi. Ieri, ad esempio, è arrivata la resa di Franca Rame. «Lo so, Luca Casarini mi tirerà le uova ma seppure con il sangue agli occhi dirò sì al rifinanziamento se il governo porrà la fiducia» annuncia l’attrice. Un atteggiamento che potrebbe essere imitato da altri irriducibili.

«Ottenuta una congrua quantità di fotografie sui quotidiani e un numero spropositato di citazioni» commenta Maurizio Gasparri «i cosiddetti dissidenti sono tornati all’ovile, piegando la testa e dimostrandosi pacifisti di pasta frolla».

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