L’INTERVENTO

C’è un principio liberale molto citato ma mai applicato: «Ciò che non è vietato dalla legge è permesso». Nelle realtà statuali è invece applicato l’esatto contrario: «Ciò che non è previsto dalla legge è vietato». Ed è proprio in forza di questo secondo principio che la nostra esistenza di cittadini si svolge sotto l’incubo di troppe leggi che limitano le individuali libertà.
In Italia, dall’unità politica a oggi, se ne sono prodotte così tante che ne è stata impossibile finora la catalogazione. Quante siano è una grande incognita.
Anni fa un docente dell’università di Genova, Václav Belohradsky, amico del leader cecoslovacco Havel e rifugiatosi in Italia negli anni ’60, salito in cattedra (trasferitosi poi a Trieste) perché naturalizzato italiano, fece fare ai suoi studenti una ricerca per inventariare tutte le leggi esistenti nel nostro paese. Si arrivò, mi disse (eravamo cari amici), alla cifra di quasi 200mila, e non erano tutte perché gli studenti, impegnati a dare esami, abbandonarono le ricerche.
Ne parlai negli anni ’80 con Nilde Jotti, allora presidente della Camera, perché considerasse l’opportunità che fosse l’istituzione da lei presieduta a inventariare il cumulo di leggi e atti normativi vigenti, sì da tentarne una semplificazione e codificazione. Qualcosa fu fatto (si arrivò, credo, a catalogare, 150mila atti con forza di legge ma il lavoro non venne completato), poi tutto rientrò nell’ordinarietà e la boscaglia legislativa rimase intatta.
Sul Giornale in quegli anni, d’accordo con Montanelli (curavo allora una rubrica settimanale: «Dall’interno del Palazzo»), insistetti più volte perché finalmente ci si rendesse conto della mole legislativa che appesantiva e rendeva farraginoso il nostro ordinamento, e si provvedesse a uno snellimento con cancellazioni e accorpamenti. Gli uffici della Camera, soprattutto l’ottimo Ufficio studi di cui raccomandai spesso il potenziamento, provvidero a un’opera di ricerca e catalogazione ma mancò l’impulso politico, sicché non si è mai dato inizio a quel disboscamento necessario per razionalizzare e modernizzare il nostro ordinamento.
Il problema riemerge ora con l’enunciazione un po’ retorica di Veltroni, che promette di tagliare 5mila leggi su 21mila presumibilmente esistenti. A parte il fatto che cumulando leggi statali, leggi regionali, norme e regolamenti vari (una congerie infinita e incalcolabile), non è escluso che si arrivi e forse si superino le 200mila (la ricerca di Belohradsky appare la più verosimile), va preso atto onestamente che il primo serio tentativo di avviare una deforestazione della giungla legislativa fu fatto nel 2005 dal governo di centrodestra, che con la legge 246 portò anche alla costituzione di una apposita commissione bicamerale. Con altrettanta obiettività va ricordato che a battersi in passato per quest’opera di sfrondamento legislativo è stato il liberale Raffaele Costa, il quale, essendo già stato ministro più volte, rifiutò l’incarico di viceministro a quello scopo offertogli da Berlusconi.
Ben venga, da qualunque parte, la promessa di una così salutare opera di semplificazione e ammodernamento legislativo. Sarebbe bene, però, tenersi lontani dalla retorica propagandistica elettorale, anche perché tutta l’operazione sarà tutt’altro che facile e immediata.

Si tratta di un problema assai serio: bisogna innanzitutto sapere quante sono veramente le leggi vigenti (statali, regionali, regolamenti e precetti vari con forza di legge), ordinarle per materia, accorpare le comparabili, sfrondare le parti superflue, abolire le obsolete, fare insomma un’opera assolutamente complessa di semplificazione; di eliminazione di ambiguità, verbosità, esuberanze linguistiche e chissà ancora di quante ampollosità. Ce ne vorrà di tempo e di impegno. Ma soprattutto ci vorrà una precisa volontà politica, quella che finora è mancata.

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