Marcello Foa
Doveva essere la giornata della Rice, che ieri è tornata a Gerusalemme. È stata quella del leader degli Hezbollah lo sceicco Hassan Nasrallah, che ha minacciato nuovi attacchi contro Israele, e, sul fronte diplomatico, dellItalia. La notizia è trapelata in serata, rivelata dallagenzia Apcom: il nostro governo si candida a guidare la forza multinazionale di interposizione dellOnu in Libano. Lo avrebbero deciso Prodi, DAlema e Parisi in un vertice convocato «per coordinare le parole e gli impegni dellItalia», anche se fonti di Palazzo Chigi, interpellate dal Giornale, non hanno voluto confermare la notizia, facendo notare lestrema delicatezza della situazione. Oggi il nostro ministro degli Esteri va a Gerusalemme, dove incontrerà Olmert e chiederà il gradimento israeliano. La giornata cruciale sarà quella di domani, quando allOnu si svolgerà una riunione per decidere la composizione e il mandato del contingente internazionale. Fino a pochi giorni fa sembrava che il comando dovesse spettare alla Turchia o alla Francia, ma ora Prodi ritiene che «il nostro Paese abbia le caratteristiche per ricoprire questo ruolo». Gli argomenti a sostegno della candidatura italiana sarebbero gli eccellenti risultati ottenuti dalle nostre missioni di peace-keeping nel mondo e, soprattutto, i crediti maturati con lorganizzazione della Conferenza di Roma.
Vedremo, intanto lattenzione è puntata su Condoleezza Rice. «Le discussioni saranno difficili - dichiara prima di incontrare in tarda serata il premier israeliano Olmert -. Ma cè chi dovrà dare e chi ricevere». Come dire: lo spazio per una trattativa cè. E infatti nelle ultime 48 ore è emerso qualche piccolo segnale di incoraggiamento. A Beirut, innanzitutto, dove i due ministri Hezbollah hanno approvato il piano di pace in sette punti, proposto dal premier Siniora, che prevede lo spiegamento di una forza di interposizione e il disarmo delle milizie. Poi in Israele, dove fonti del ministero degli Esteri hanno fatto sapere di non pretendere più limmediato disarmo dei guerriglieri del Partito di Dio come condizione per porre fine alla guerra. Gerusalemme chiede invece che la forza di interposizione tenga gli Hezbollah lontano dalla zona del confine e che impedisca i rifornimenti militari dalla Siria e Iran.
Ma la tregua appare lontana, in una giornata caratterizzata da dichiarazioni molto dure. Di buon mattino è il portavoce israeliano Avi Pazner a respingere la richiesta di una tregua umanitaria di 72 ore chiesta dallOnu, definendola «inutile perché lo Stato ebraico ha già aperto un corridoio umanitario che consente di entrare e uscire dal Libano». Una risposta accolta con disappunto dalla Francia e con irritazione dal Libano: «Come possono dire che non abbiamo bisogno di un cessate il fuoco, se bombardano ambulanze e camion con i soccorsi?», chiede il ministro dellAmbiente Yacub Sarraf.
Poi in serata Nasrallah sale alla ribalta. Alle 18.45 locali appare sugli schermi di Al-Manar, la tv degli Hezbollah, e pronuncia un discorso trionfalistico: «È chiaro che il nemico sionista non ha potuto realizzare alcun obiettivo a livello militare. Ha ottenuto solo luccisione di civili e la fuga di innocenti dalle loro case: la loro non è una vittoria». Il capo dei guerriglieri sciiti minaccia Olmert («altre città saranno colpite se continua laggressione») e sfida gli Stati Uniti: «Gli israeliani sono pronti al cessate il fuoco perché vogliono evitare lignoto, ma gli americani insistono affinché continuino laggressione».
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