Lo hanno ucciso con un colpo di badile perché piangeva. Tommy aveva capito, voleva la mamma, aveva paura. E i rapitori lhanno fatto stare zitto per sempre. Il thriller è finito, la tragedia si è compiuta, gli esperti in divisa possono continuare a sbianchettare impronte in prima serata tv. Stanotte qualcuno si guarderà le mani e - come lady Macbeth - si accorgerà che sono sporche di sangue per sempre. Tommaso Onofri aveva 18 mesi ed era nostro amico. LItalia che per un mese ha atteso sue notizie fuori dal cancello del cascinale di Casalbaroncolo lo ricorderà per sempre, seduto dentro il passeggino con quel berretto azzurro e gli occhi curiosi mentre sorride allobiettivo, mostrando i primi due dentini da latte orgogliosamente al loro posto.
Era pacioccone e felice, in quella foto. Come può esserlo un bimbo di un anno e mezzo che sa sempre dovè la mamma, e con la bussola del cuore riconosce il profilo del fratello maggiore e di quellispido papà. Era sicuro e allegro, come può esserlo un piccolo principe che comincia a scoprire il mondo guardando scodinzolare Tody, cagnolino nevrotico e bizzarro. Tommy era nostro amico e lo aspettavamo, cerano buoni segnali di un suo possibile ritorno.
«Un anno fa è stato battezzato, un anno fa è morto Papa Giovanni Paolo II, al quale Tommy era stato votato da me. È passato un mese: oggi tornerà». Lo aveva detto venerdì Paolo Onofri, il papà. E forse in questa solida congiunzione astrale credeva. Volevamo crederci tutti. Ma ora sappiamo che, quando tornerà, Tommaso sarà avvolto da un lenzuolo. E sarà della stessa materia di cui sono fatti gli angeli.
Lo hanno ucciso con un colpo di badile, come per schiacciare, zittire, annientare un animale molesto. Come per polverizzare un incubo. Lhanno ucciso perché piangeva. È il passaggio più banale e atroce della confessione del muratore Mario Alessi, uno dei rapitori. Lui ha sentito quei vagiti, lui ne è rimasto infastidito e poi sconvolto, lui ha provocato la morte del piccolo. Probabilmente lo aveva sentito piangere anche prima, nelle settimane in cui lavorava in quella casa, ingaggiato dalla famiglia per ristrutturare una soffitta e un bagno.
Quel che più lascia interdetti, è che i muratori Mario Alessi e Salvatore Raimondi erano stati convocati in Procura a Parma per un interrogatorio. Era il 7 marzo e nessuno degli investigatori si è accorto che dentro quelluomo cera il pianto di Tommy, che nella voce di quelluomo cera lultimo respiro di Tommy. Che nelle oscene giustificazioni di quelluomo («Non mento mai, ho un figlio anchio») cera il silenzio eterno di Tommy.
Tommy non piangeva più, ma nessun magistrato poteva sentire il fragore di quella calma. Nessun Tenente Colombo della Bassa poteva smascherare lassassino della porta accanto. Erano tutti concentrati sul papà, avevano trovato uno scantinato, un computer, dei file sospetti. Cera materiale per i giornali, cera questuomo con un identikit tardo-lombrosiano da pedinare. Cera, meravigliosamente, il plot narrativo da edicola ferroviaria che piace agli sceneggiatori di telefilm americani e a certi assistenti sociali: doppia vita, ricatti familiari, pruriti pedofili. Ma la verità era altrove. E purtroppo aveva ancora una volta ragione Leonardo Sciascia: «Le storie di morte non sono mai complicate».
Voi che lavete trovato in un casolare abbandonato, sotto del fieno, ora parlategli. I bambini non sopportano il peso del silenzio.
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