«L’oppio afghano uccide 10mila europei l’anno»

«La droga dei talebani uccide più di bombe e kalashnikov e le nostre statistiche lo dimostrano. In Afghanistan dal 2001 a oggi la lotta agli insorti è costata la vita a 1800 soldati della Nato, in Europa la droga prodotta e contrabbandata dai talebani uccide ogni anno 10mila persone, in Russia 30mila. L’oppio afghano è causa della peggior narco-tragedia da un secolo a questa parte». L’intervista al Giornale di Antonio Maria Costa si apre con questo scenario terrificante, uno scenario analizzato in tutta la sua gravità nell'ultimo rapporto dell’Unodc, l’organismo per la lotta a droga e criminalità diretto da questo sessantottenne sottosegretario dell’Onu di nazionalità italiana.
«Il nostro rapporto è il primo a valutare le conseguenze delle 900 tonnellate di oppio e 375 di eroina prodotte in Afghanistan, il primo a misurare con precisione l'ammontare di droga diretta verso Turchia ed Europa. La regione tra Afghanistan e Pakistan è, secondo noi, l’area di libero scambio più grande al mondo per l’illecito, dalla droga alle armi e ai componenti per bombe, dal denaro sporco al contrabbando di esseri umani».
E gli insorti afghani quanto ne beneficiano?
«Quando erano al potere in Afghanistan i talebani incassavano grazie all’oppio tra i 70 e i 90 milioni di dollari l’anno. Oggi, se si considera soltanto l’incasso derivante dalla coltivazione dell'oppio, quegli introiti risultano raddoppiati, ma se si aggiungono anche le entrate derivanti da contrabbando e raffinazione il totale risulta triplicato».
C’è una relazione diretta tra la quantità di droga prodotta nel Paese e il livello dell'insurrezione?
«Certamente. In Afghanistan oggi il papavero da oppio viene coltivato esclusivamente nelle cinque province meridionali dove gli insorti controllano larghe fette di territorio. Lì i contadini devono pagare ai talebani l’ushr, una tassa del 10 per cento sulla produzione. Nei territori sotto controllo governativo l’ushr non esiste. Grazie a quel pizzo e agli introiti derivanti da contrabbando, raffinazione e vendita la macchina da guerra degli insorti paga i propri militanti e si garantisce i rifornimenti di armi, munizioni e mezzi di trasporto. Proprio per questo bisogna combattere il narcotraffico afghano all'origine».
Voi però criticavate i tentativi americani di distruggere le coltivazioni e i raccolti d'oppio.
«Quelle politiche hanno serie conseguenze negative. Dal punto di vista sociale il contadino privo di reddito rischia di trasformarsi in un insorto. Dal punto di vista pratico quelle politiche rischiano, invece, di rivelarsi molto costose in termini di vite umane. L’anno scorso le campagne per la distruzione dei raccolti hanno provocato 72 vittime, tra cui 2 nostri collaboratori. La ricetta giusta è un’altra, bisogna colpire i veri criminali, i signori della droga che gestiscono i convogli, la raffinazione e il contrabbando dei narcotici».
Gli americani la scorsa estate hanno annunciato d’avere individuato 50 signori della droga e di volerli eliminare con tutti i mezzi, ma a voi non piace neppure quel metodo.
«Le Nazioni Unite non possono accettare simili pratiche. Supposizioni e prove non bastano. Senza un regolare processo non si possono giustiziare neppure i criminali conclamati. Il Consiglio di Sicurezza ha approvato due risoluzioni che consentono di neutralizzare i responsabili del narcotraffico bloccandone gli spostamenti, sequestrandone tutti i beni e facilitandone l’estradizione. L'unica ricetta è quella».
Un vostro rapporto della scorsa estate registrava un calo della produzione di oppio in Afghanistan, ora invece rilanciate l'allarme. È una contraddizione?
«Assolutamente no.

Quel rapporto faceva notare come la diminuzione del prezzo dell'oppio avesse determinato un calo della produzione del 36 per cento, ma segnalava anche l’esistenza di scorte per oltre 12mila tonnellate. Quei magazzini di droga pronta a venir smerciata sono un’altra minaccia per i nostri giovani prigionieri della droga e per i nostri soldati impegnati nella lotta ai talebani».

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