È l’ora del mitico Tyner, eterno ragazzo del jazz

Jazz, fortissimamente jazz. Da leccarsi i baffi. Ancora una volta grazie al Blue Note, il club dell'Isola che nel 2013 festeggerà i suoi primi 10 anni di attività. La chicca della settimana è rappresentata dalla «residenza» del maestoso Alfred McCoy Tyner. L'ultra 70enne pianista del leggendario quartetto di John Coltrane (prendete la vostra copia di A Love Supreme e verificate), assurto a maestro e santone del jazz contemporaneo (dall'età dell'oro del jazz sono passati ormai quasi 50 anni eppure Tyner non ha mai smesso di essere un punto di riferimento stilistico assoluto del pianismo jazz) sarà nel club di via Borsieri per tre sere consecutive, a cominciare da oggi (ore 21, 02.69016888, www.bluenotemilano.com). Più attivo che mai, gira il mondo con il suo quartetto (in formazione variabile), non smette di sperimentare e si concede addirittura il lusso di incidere un album, l'ultimo Guitars, facendosi accompagnare da alcuni dei migliori chitarristi sulla scena, da Marc Ribot a Bill Frisell passando per John Scofield e Bela Fleck. Sul palco, accanto al maestro, dall'inconfondibile stile energico e percussivo, ci saranno l'eccellente Gary Bartz, sassofonista di Miles Davis negli anni Settanta; Gerald Cannon, il contrabbassista di Roy Hargrove; e il batterista jazz cubano del momento, Francisco Mela.
«McCoy ha un senso della forma eccezionalmente, sviluppato come solista e come accompagnatore. Immancabilmente, nel nostro gruppo, prende il tema e costruisce la sua struttura per esso», osservava John Coltrane in un'intervista del 1961. Analogamente, il pianista e musicologo Nino De Rose ha sottolineato come «Tyner assoggetti ogni composizione si trovi a suonare alla proprie leggi armoniche». Le due notazioni aiutano a mettere in risalto la personalità musicale e la posizione storica dell'eterno ragazzo (classe 1938) di Filadelfia. «Il mio segreto? Diventare tutt'uno con il pianoforte», è solito dichiarare, come se il suo rapporto con gli 88 tasti d'avorio del suo strumento fosse un questione al limite del carnale.
Curiosamente, ma forse nemmeno troppo, il pianista Usa ha avuto più successo dopo la sua frattura con Coltrane, «abbondonato» per intraprendere una fortunata carriera da band leader. «Lavorare con John significava essere immersi nella musica. Era una situazione molto intensa perché venivi coinvolto in un processo creativo ad altissimo livello. Per questo, quando ho lasciato il quartetto, mi ci è voluto un po' per riprendermi, per adattarmi a situazioni senza dubbio prestigiose, ma ben diverse - ha raccontato di recente Tyner, ormai di casa al Blue Note milanese -. L'influenza è stata così grande, il ruolo di ciascuno di noi all'interno del quartetto così importante che non potevi considerartene davvero fuori solo perché non eri più fisicamente in quella formazione.

Per un po' di tempo, tutti i sassofonisti che lavoravano con me cercavano un suono simile a quello di John, così ho deciso di circondarmi di altri strumenti, così avrei potuto sperimentare strade differenti e affrancarmi da una collaborazione tanto ingombrante quanto indimenticabile».

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