L’orgoglio di vivere controcorrente

L’orgoglio di vivere controcorrente

La storia del Giornale ci accompa­gnerà per quarantagiorni. Un com­movente tuffo nel passato, soprat­tutto per chi­ come me, come tanti lettori­ della straordinaria avvent­u­ra che abbiamo vissuto è stato par­tecipe e testimone. Fin dalla nasci­ta ilGiornale è stato accompagnato da una diffusa acredine, da scettici­smi, da annunci di imminente di­partita.

Quarant'anni dopo il grac­chiare dei corvi dura ancora, ma il Giornale è vivo... Per fortuna di quanti ci lavorano. Ma soprattutto per fortuna della libertà, della de­mocrazia e della cultura italiana. Ci proponemmo, tra i sorrisetti di scherno dell'intellettualità, un compito immane. Quello di dare voce ai senza voce. Di esprimere i sentimenti, le insofferenze, i tor­mentid'una Italia­la maggioranza silenziosa­messaarrogantemente a tacere da un pensiero unico auto­definitosiprogressista. Un'Italiair­risa dai padroni dei salotti e delle piazze. Tra loro alcuni che spesso dimostravanosimpatiaocompren­sione per i brigatisti rossi. Quando osavaaffacciarsi alproscenio quel­l’Italia era vituperatacome reazio­naria, e all'occorrenza come fasci­sta. Forse la nostra ambizione era eccessiva. Abbiamo avuto succes­so ma non quanto speravamo an­cheperlerapideconversioniditan­ti ultra al moderatismo.

Forse non abbiamocambiatolastoria.Maab­biamofortementecontribuito, con solitario sprezzo del pericolo, a cambiarla.Èlecitopensarechenel­la­suaessenzal'Italiarimangasem­pre sé stessa, come scrisse Indro Montanelli «un conglomerato im­pegnatoadiscutere, congrandipa­role, di grandi riforme a copertura di piccoli giuochi di potere e d'inte­resse ». La prima pagina del primo numero ebbe questo titolo «Fanfa­ni conta amici e nemici». Oggi po­tremmo titolare «Renzi conta ami­ci e nemici »,eoggicomealloraine­mici più temibili sono i presunti amici.Ciò che il Giornale ,contrad­detto violentemente, sostenne quattrodecenniorsonoepoiconti­nuò a sostenere ­l'orrore e la fine del comunismo, l'affermarsi del­l’economia di mercato, le valuta­zioni storiche sulle luci e sulleom­bre della Resistenza, sul terrori­smo, sulcomunismosonodiventa­te ovvietà. Siamo contenti per ave­re avuto ragione, meno contenti per non essercela mai stata ricono­sciuta.

Ripeto un luogo comune: ma siamo stati e vogliamo rimane­re controcorrente. Larubricaidea­ta­dalgrandeIndroesigevailsuoir­ripetibile stile da spadaccino ele­gante. Diversidalui,isuoisuccesso­ri non hanno demeritato. Vittorio Feltrihaportato lastraordinariaca­pacità di moltiplicare le vendite d'ogni testata che gli fosse affidata, MaurizioBelpietro,alungo«secon­do »diFeltri,un'intelligenzagrinto­sa e affidabile. E poi Mario Giorda­nolacuiariadaragazzinonondeve ingannare,comepolemistaèduris­simo.

Nesaqualcosailpoveroeuro per ilquale io,impietosito dalla sua solitudine,spendo a volte una paro­la buona. Sono stato anch'io diret­tore, volontariamentedimettendo­mi al compimento dell'ottantes­i­mocompleanno, il 25 marzo 2001. I miei poteri come direttore erano simili ­si parva licet ­a quelli di S. M. Elisabetta II come governante. Ma ho cercatodi tenere altala ban­diera. Ormai siamo rimasti in po­chi, noi fondatori del Giornale.

Con Gian Galeazzo Biazzi Vergani tor­niamoa casa insieme, ogni giorno, dall'ufficio. Enzo Bettiza s'è distac­cato tanto tempo fa (e rimane uno scrittorealqualeinvidio lapenetra­zione nel descrivere le persone e le atmosfere).Come accade ai vecchi la memoria è popolata di morti,e io rammento con qualche stretta al cuoreGuidoPiovene,GianniGran­zotto, CesareZappulli.Tuttiperso­naggi di primo piano nel giornali­smoitaliano­eancheoltreilgiorna­lismo, nellaletteratura.Avevanora­diciideologichediverseeundiver­so percorso professionale. A Mon­tanelli riuscì d’assemblarli, ebbero fiducia in lui e in un’impresa dal­l’esito oltremodo incerto. Il mondo e l'Italia non sono più quelli di una volta, e anche il Gior­nale non lo è più.

AlessandroSallu­stinonvuolfare, credo,unquotidia­no che piaccia a tutti: impresa so­vrumanamaanchesterile. Vuolfa­reunquotidianocheinteressitutti, emi pare ci riesca. Sì il Giornale ha avuto, lo ripeto, un ruolo giornali­stico, un ruolo culturale, un ruolo politico di prima grandezza.Rima­nendone vedova l'Italia avrebbe perso qualcosa di prezioso. E qui s'impone, per chi la pensa così, un passo successivo. Il Giornale è so­pravvissutoperchéSilvioBerlusco­nil'hasalvato.

Miattengoall'inizia­tivaintelligenteconcuiilCavaliere venneinnostro soccorso, tralascio leinnumerevoli questionigiudizia­rie e politicheche ilsuocasohage­nerato. L'intellighenzia,senonfos­se accecata dalla faziosità, dovreb­becomunquedirgli grazie.

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