L’ossessione americana per la progenie perfetta

Due autrici raccontano il desiderio e il rifiuto che legano i genitori ai figli

In un mondo che parla continuamente dei suoi figli e non smette di interrogarsi su di loro, l’evidente ossessione nei confronti della progenie non sfugge a due narratrici americane. Anne Tyler è al suo diciassettesimo romanzo con La figlia perfetta (Guanda, pagg. 294, euro 15,50), Kim Edwards è praticamente al debutto con La figlia del silenzio (Garzanti, pagg. 413, euro 18,60). La prima racconta una storia di figli desiderati e al centro di ogni possibile attenzione, l’altra quella di un figlio rifiutato a causa della sua imperfezione. Spunti non lontani da molte «storie vere», abilmente esplorati su diversi piani narrativi. Il titolo originale scelto dalla Tyler dichiara la maggiore ambizione del romanzo: in quel Digging to America, che starebbe per il conquistare un pezzetto alla volta il paese dei sogni, è contenuta tutta l’altalena di sentimenti di due coppie di genitori che attendono all’aeroporto di Baltimora l’arrivo di due neonate coreane, frutto di un’adozione internazionale. I Donaldson e gli Yazdan non potrebbero essere più diversi, prevedibili liberal della classe media americani i primi, immigrati iraniani di seconda generazione, raffinati e silenziosi, i secondi. Ad avvicinarli è soltanto l’adozione ma diventeranno inevitabilmente amici, dando il via a una rete di relazioni. Il libro ha fra i particolari più azzeccati, la contrapposizione tra la volontà serena degli iraniani di fare della loro piccola una americana in tutto e per tutto, e il patetico sforzo degli statunitensi di far crescere la loro bambina come dovesse ogni giorno tenere a mente di venire dalla Corea. La Tyler sfrutta molti dei temi che le sono consueti (la nostalgia, l’appartenenza, la gestione della libertà) e se ambiva a mostrare cosa vuol dire «essere un americano», ci è pienamente riuscita.
Il romanzo di Kim Edwards ruota intorno ad una analoga questione di accettazione. Ma qui il figlio amorevolmente atteso viene rifiutato dal padre nell’istante in cui nasce. Siamo nell’America del 1964 e un parto d’emergenza si conclude con la nascita di due gemelli, uno sano e l’altra affetta da sindrome di Down. E il dottor David Henry, che ha aiutato la moglie a far nascere i piccoli con l’aiuto dell’infermiera Catherine, non trova di meglio che comunicarle che la bambina è morta; pensando così di risparmiare a tutti lunghe sofferenze. L’infermiera, invece, non riuscirà ad abbandonare la neonata e deciderà di tenerla con sé, iniziando un percorso pieno di difficoltà ma anche di grandissimo amore. L’arco temporale copre venticinque anni della vita delle due famiglie, mostrando l’impossibilità della prima di superare il lutto, e seguendo la progressiva fortificazione della seconda. La potenza è tutta nella storia, nell’evoluzione dei personaggi.

Classico esempio di successo a valanga, negli Stati Uniti il passaparola dei lettori ha graziato con la vendita di tre milioni di copie un prodotto che non conquista. Alla Edwards va però il merito di aver trattato la disabilità senza pietismi, ed aver costruito delle figure più umane dell’umano, tutte convincenti.

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