L’ultima lettera di Simonetta: «Odio Raniero»

STORIA L’ex della Cesaroni, accusato del delitto, si difende: «Il nostro era un rapporto normale, ma lei era più coinvolta di me»

Sconforto, delusione, il disperato, eppure così normale bisogno di sentirsi amati. La frustrazione del sentirsi usata, «girata» come quella bambola cantata da Patty Pravo.
Simonetta Cesaroni aveva 20 anni e il cuore di una ragazza, pronto da offrire in nome della felicità. A spaccarglielo definitivamente furono invece, in un giorno d’agosto di 19 anni fa, 29 coltellate.
Si sfogava scrivendo Simonetta. Non sapeva che presto sarebbe morta, uccisa barbaramente chissà se proprio da quell’uomo che la faceva soffrire e che oggi siede sul banco degli imputati. Raniero Busco, 25 anni all’epoca, il suo fidanzato. Lui che si proclama innocente, una nuova vita, una moglie, due figli, ammette: «Un rapporto con alti e bassi basato sulla fiducia e il rispetto, il nostro. Sicuramente da parte sua c’era più coinvolgimento».
Rilette ora, quelle frasi di Simonetta suonano ancor più dolorose. E sembrano accusare. «Sono sempre più in basso e la cosa peggiore è che non riesco ad uscirne. Tante volte mi sono svegliata la mattina convinta che l’avrei fatta subito finita, ma una volta davanti a lui non ne ho avuto la forza. Se amarlo significa star male, annullare me stessa, allora no, deve finire. Ieri sera per l’ennesima volta mi ha presa in giro, voglio odiarlo, odiarlo più di quanto lo amo, sono nauseata, disgustata da tutto questo: non solo di lui, anche di me stessa perché non ho abbastanza rispetto di me per dire basta una volta per tutte. Hai ragione tu. Io merito qualcosa di più, qualcosa di vero e pulito». Era il 1989.
Oggi, un’altra donna, la moglie di Busco, Roberta Milletari alla quale l’uomo in 11 anni di matrimonio ha dato due figli e forse più amore, lo difende. «La nostra forza è quella dell’innocenza. Mio marito non c’entra niente con il delitto». Senza dubbi, senza tentennamenti, lo scagiona. Anche per lei gli indizi ripescati a distanza di quasi vent’anni grazie alle nuove tecnologie investigative, non convincono. È una partita giocata sulla fiducia la loro, sull’amore, forse sull’inconfessabile paura di voltarsi indietro. Raniero Busco finì al centro dell’inchiesta a 17 anni dal delitto. Quando fu scoperta una traccia della sua saliva sul corpetto che la vittima indossava il giorno dell’omicidio nell’ufficio di via Poma. Sul suo alibi (ha sempre sostenuto che al momento dell’omicidio era con un amico, ma questi negò), la polizia ha indagato per anni. Così come su molte altre persone, in primis il portiere dello stabile, tal Pietrino Vanacore. Di recente, guarda caso ancora una donna, ha scagionato Raniero: Maria Di Giacomo, una vicina di casa di Busco, due anni fa gli fornì un alibi.
Eppure quelle tristi lettere di Simonetta, reclamano ancora giustizia. «Ho sempre sognato di essere una donna - scrive ad un’altra amica - ma per fare una donna ci vuole un uomo e non so se riuscirò a trovarlo. Ho imparato a mie spese che amare qualcuno non significa necessariamente essere felici perché amare senza essere riamati è sinonimo di sofferenza, solitudine continua e incessante. L’amore è fatto di piccole cose, un sorriso, una carezza... Invece io l’unica cosa che ho ricevuto in cambio è indifferenza e sesso. Tutto è così squallido. Mi fa sentire un oggetto nelle mani di una persona e la cosa brutta è che sono cosciente del fatto che un giorno, quando si sarà stufato di me, mi lascerà e sarà fiero di se stesso.

Vorrei che almeno una volta mi dicesse ti amo. Toccherei il cielo con un dito.
Quest’anno caro Babbo Natale vorrei una cosa, forse l’unica che mi manca: il suo amore».
Caro Babbo Natale, sotto l’albero, portaci la verità.

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