L’ultima prigione dell’uomo è stata un furgone

Gli investigatori si difendono dalle accuse dell’Opus Dei: «Non potevamo fare di più»

da Milano
Potrebbe essere stato un furgone la prigione di Gianmario Roveraro. Lo lascerebbe pensare la dichiarazione di due testimoni che nei giorni scorsi avrebbero visto i tre balordi parmensi, arrestati per il sequestro e l’uccisione dell’uomo d’affari, su un grosso mezzo parcheggiato a Fidenza. Ma di un furgone parla lo stesso Filippo Botteri, il capobanda. L’uomo avrebbe minacciato un socio di «rapire la fidanzata e portarla via con un furgone». Nel frattempo le analisi del Dna e il ritrovamento della fede nuziale hanno confermato che i miseri resti trovati venerdì nelle colline tra Fornovo e Solignano, sempre nel Parmense, appartengono proprio all’uomo d’affari milanese.
Il particolare del furgone è emerso ieri dopo che due testimoni, sentiti da un giornalista Rai, hanno dichiarato di aver visto Botteri insieme con i complici Emilio Toscani e Marco Baldi a bordo di un grosso mezzo grigio metallizzato parcheggiato un paio di settimane fa in centro a Fidenza, in provincia di Parma. Botteri infatti sequestra Roveraro, perché lo ritiene responsabile della perdita di 2 milioni e mezzo in un affare in Austria. Affare compiuto insieme ad altri personaggi tra cui Franco Todescato, faccendiere finito in galera nel 2003 per truffa. Anche lui è incolpato del dissesto e Botteri va a battere cassa. I due litigano e Botteri lo minaccia: «Rapisco la tua donna e la porto via con un furgone». Lo scontro avviene proprio pochi giorni prima del sequestro Roveraro. Quasi che Botteri avesse già in mente un piano che poteva essere adattato sia al banchiere sia alla donna di Todescato.
Nel frattempo però montano anche le polemiche, innescate dall’Opus Dei, per l’ipotetico ritardo degli inquirenti che, se fossero intervenuti prima, avrebbero potuto salvare il banchiere. Ucciso forse il 12 luglio, circa cinque giorni dopo che la moglie aveva fatto il nome di Botteri. Roveraro viene infatti rapito il 5 luglio, nella notte telefona alla moglie per tranquillizzarla, giovedì la richiama aggiungendo di trovarsi in Austria. La donna denuncia ugualmente la scomparsa ai carabinieri. Venerdì Roveraro chiama il commercialista e gli chiede di smobilizzare un milione di euro. La circostanza viene riferita lo stesso giorno agli investigatori dalla signora che ricorda come l’unica connessione tra suo marito e l’Austria sia rappresentata da Botteri. Che viene sentito il 12 e 15 luglio.
«Non potevamo fare di più - spiega un investigatore - Nei primi giorni non c’era prova di sequestro, alcuni testimoni ci parlano di un uomo disperato per alcuni affari andati male, dunque poteva anche essersi allontanato volontariamente. Botteri in quel momento è solo una persona informata dei fatti. Non era neppure possibile intercettarlo, perché non ha un’utenza fissa e il suo cellulare squillava sempre a vuoto. La prova certa del suo coinvolgimento l’abbiamo avuta solo due giorni prima dell’arresto. Tutte le chiamate infatti venivano fatte con schede internazionali prepagate e fatte passare via Internet. Siamo riusciti ugualmente a collegare queste linee virtuali al cellulare di Toscani. E solo il 19 Botteri ha chiamato da una cabina pubblica l’amico, ma senza fare nomi. L’abbiamo riconosciuto dalla voce».


Intanto proseguono gli accertamenti per chiarire tutti gli aspetti della vicenda, con una serie di appuntamenti già scadenzati: oggi e domani verranno sentiti in carcere i tre sequestratori, mentre mercoledì verrà eseguita a Parma l’autopsia sui resti dell’uomo d’affari.

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