L’ultima verità sulla fine di Bormann: è sepolto a Roma

È al Verano sotto falso nome. La rivelazione nelle memorie di Guido Giannettini

L’ombra di Hitler si allunga fin sotto i cipressi del Verano. Martin Bormann, segretario personale del Führer, responsabile della cancelleria del partito nazista, esecutore delle ultime volontà del capo e della consorte Eva Braun nel bunker del Reichstag, sarebbe sepolto nel cimitero romano, sotto falso nome.
A rivelarlo in punto di morte è stato Guido Giannettini, il famoso agente «Z» del Sid. Che ne parla nelle sue memorie, affidate a Mary Pace, la donna che si offrì di ospitare a casa propria l’ex ufficiale SS Erich Priebke, condannato per la strage delle Fosse Ardeatine. In un libro di prossima pubblicazione la scrittrice riporta fedelmente il racconto dello 007 italiano deceduto alcuni anni fa, destinato a riaprire il giallo della misteriosa scomparsa di Bormann, una vicenda che tanto ha appassionato, e ancora appassiona, gli storici del nazismo.
Sul destino del gerarca più vicino a Hitler, l’uomo noto per aver acquistato il «Nido delle aquile», il rifugio del Führer nelle Alpi Bavaresi, condannato a morte in contumacia per crimini di guerra al processo di Norimberga, si sono infatti rincorse negli anni le voci più disparate. L’hanno dato per morto in decine d’occasioni e luoghi diversi, salvo poi porsi il dubbio, ogni volta che saltavano fuori testimoni pronti a giurare di averlo incontrato nei posti più impensabili del pianeta, che fosse ancora in vita. Così tra avvistamenti e leggende, di Bormann nel dopoguerra si sa praticamente tutto: ovvero niente. Nel 1945 gli ultimi ad aver parlato con l’«ombra di Hitler» furono Erich Kempka, autista del Führer, Artur Axmann, capo della gioventù hitleriana, e il medico delle SS Ludwig Stumpfegger. Una bomba avrebbe fatto saltare in aria l’auto su cui viaggiava. Secondo la testimonianza di Kempka Bormann forse era morto in quell’occasione, forse no: del cadavere non c’era traccia.
Per i servizi segreti di Stalin le cose sarebbero andate diversamente. Bormann sarebbe scappato insieme a Heinrich Müller, capo della Gestapo, imbarcandosi ad Amburgo sull’U-Boat U-234, già prima che Berlino cadesse: destinazione del sommergibile, carico anche del tesoro di Hitler, la Patagonia. Dal 1946 al 1993 di Bormann si parlò infatti come di un fantasma che appariva e scompariva in Sudamerica. Nel ’46 per la verità venne segnalato in un monastero del Nord Italia, ma da lì le sue tracce guidarono il cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal fino a Buenos Aires. Quando morì la moglie, a Merano in Italia, il presunto Bormann inviò una lettera non sapendo della scomparsa della donna. E la missiva, ritrovata, venne esibita dal suo legale ai giudici di Norimberga. In Argentina si disse che Bormann avrebbe ispirato alcuni articoli nella pubblicazione neonazista Der Weg, «la strada».
Nei primi anni ’50 giornali e parlamentari cileni dichiararono che l’ex nazista si era rifugiato nel loro Paese, nei pressi della frontiera con l’Argentina. In quegli anni poi, dalla Bolivia, rimbalzò la notizia che Bormann sarebbe diventato consigliere personale del dittatore e poi presidente Hugo Banzer. Anche l’ex ambasciatore argentino in Israele raccontò di un Bormann vivo, ma reso irriconoscibile da una plastica facciale. Nel ’63 i figli Adolfo e Gerhard ammisero che il padre poteva non essere morto. E ancora nel ’73, durante alcuni scavi in un parco di Berlino furono ritrovati diversi scheletri. Uno di questi parve compatibile, grazie ai calchi dentali, con l’«ombra di Hitler». Ma nessuna certezza. Anche perché ad agosto ’93 fonti del governo paraguayano sostennero che Bormann sarebbe morto ad Asuncion e sepolto in una fossa comune.
Fra tante incertezze, Giannettini offre conferme e nuove indiscrezioni: «Durante il periodo caldo, la primavera del ’66, in cui Wiesenthal cercava in modo frenetico Bormann, definito il “secondo Hitler”, il gerarca nazista era ricoverato in una clinica romana, e io andavo spesso a trovarlo. Aveva già vissuto in Italia per un certo periodo, subito dopo la fuga dalla Germania. Anche perché a Merano vi era la sua famiglia, e qui morì la moglie Gerda. Martin mi raccontò che poco prima della fine del conflitto fece partire da Amburgo un sommergibile al comando di Heinz Schaffer con il tesoro dei nazisti diretto a mar della Plata, dove si sarebbe consegnato alle autorità argentine. In tutto il Sudamerica provvide ad aprire un migliaio di società per far vivere tranquilli i nazisti riparati nei Paesi dell’America del Sud, dove lo stesso Martin mi raccontava di aver vissuto, spostandosi in continuazione».


Era venuto in Italia poco prima di morire, si legge nelle memorie dello 007, «per incontrare qualche alto prelato in Vaticano». E a Roma 40 anni fa esalò l’ultimo respiro. «Finì sepolto al cimitero monumentale del Verano, con un nome fittizio per evitare scempi. Al funerale ero presente solo io».

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