L’Unione inventa la «lista di governo» per frenare la rabbia degli esclusi

D’Alema: recupereremo chi non sarà candidato

Roberto Scafuri

da Roma

Non è il Migliore, mai stato «migliorista», però Massimo D’Alema è senz’altro un Menopeggio. Impagabile tessitore notturno, affabile ricucitore diurno, sarcastico e persino autoironico, liquida il caso Campania in cinque parole: «Basteranno due ore in più». E infatti, alle 22, le agenzie annunciano che l’intesa con i Ds campani, legata alla rivalità tra Bassolino e l’ex sindaco di Salerno De Luca, è stata trovata. Nel giorno dei maldipancia, con liste che circolano piene di cancellature, i candidati cadono e (alcuni) risorgono, di uno come D’Alema non si può fare a meno. Sentire il commento all’ultimo dei nomi scesi dalla Quercia per impugnare la Rosa, l’ex amatissimo ripudiatissimo Lothar Fabrizio Rondolino: «Un simpatico giornalista... ma è vero che si candida? Ah, perfetto... No, perché poteva anche essere una boutade... È vivace, darà un contributo».
Oppure, quando si tratta di ricucire l’immagine scalfita di «partito delle donne» - coniata dal suo fedele Laurito, alias Velina rossa - non esita. «Soltanto una rappresentazione volgare e maschilista può ridurre le persone a chi hanno sposato...». Durante la direzione che si chiude all’unanimità aveva sentenziato: «Bisogna leggere i libri, non la Velina rossa». Ma se la moglie di Fassino (Anna Serafini) e quella di Bassolino (Annamaria Carloni) fanno politica da sempre, la Quercia sceglie il profilo femminile puntando a superare quota 50 parlamentari non sempre con personalità di esperienza. Escluse la Pennacchi, la Bolognesi e la Montecchi, per esempio, ecco fioccare in lista le quote rosa «dedicate». Assieme ad esse, due nomi legati alla cronaca tragica: Rosa Calipari (numero due in Calabria) e Sabina Rossa (numero tre in Liguria): moglie e figlia, rispettivamente, di Nicola, ucciso in Irak, e Guido, assassinato dalle Br.
«Avremo gruppi numerosi e competenti», è il refrain scelto da D’Alema per opporsi alle critiche interne ed esterne. E il segretario Fassino snocciola le rappresentanze per categorie: molti sindaci premiati; magistrati (Gerardo D’Ambrosio e Felice Casson su tutti); qualche socialista (l’ex sovrintendente della Scala di Milano, Carlo Fontana, e l’ex leader della Uil, Pietro Larizza); qualche esterno di prestigio (su tutti il demografo Massimo Livi Bacci, l’ad della Zanichelli, Federico Enriques, il noto nefrologo Ignazio Marino). Rientra in gioco anche l’ambientalismo, con gli ex ministri verdi Edo Ronchi e Luigi Manconi (più l’oppositrice interna Fulvia Bandoli). Folto il gruppo dal mondo dell’informazione: ai «salvati» Zavoli e Caldarola, si aggiungono l’ex direttore del Messaggero, Paolo Gambescia, e dell’Unità, Furio Colombo. In extremis le pressioni giunte da più parti (anzitutto dall’amico Veltroni) inducono D’Alema a impegnarsi per Beppe Giulietti, che la spunta e sarà numero cinque in Piemonte. «I malumori sono inevitabili - commenterà al termine D’Alema -, ma noi siamo democratici e abbiamo discusso, ricostruendo l’unità del partito. D’altronde i problemi sono posti dalla nuova legge e negli altri partiti non si discute e, di conseguenza, non se ne parla. Io che conosco la politica e non leggo i giornali, vi assicuro che negli altri partiti la situazione è drammatica...».
Effettivamente, un minuto dopo la chiusura delle liste della Margherita, ecco scapparci il clamoroso infortunio. Ci si accorge della sparizione dalle liste di Giulio Santagata, uno dei bracci destri di Prodi. Una «furbata» dell’ultima ora non gradita dai prodiani, che hanno lanciato dure accuse ai rutellian-mariniani, e che si vedono ora costretti a ripescare Santagata nella speciale (gremita) quota riservata a Prodi.

Per gli altri esclusi dei dielle, come ha cercato di rabbonirli Rutelli, si chiederà a Prodi di piazzarli al governo. Lo stesso ha dichiarato apertamente D’Alema: «Li recupereremo nel partito e nel governo». La lotta per le poltrone si preannuncia all’ultimo sangue, all’ultimo strapuntino.

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