L’UNIONE NEL TUNNEL

Gli incidenti in Val di Susa hanno restituito alla sinistra il linguaggio che più le piace. «Regime di polizia», «uso autoritario delle forze dell’ordine», «sciagurata strategia» tuonano i soliti noti. «Grave errore» borbotta Prodi. Si considera certa la brutalità gratuita di agenti e carabinieri. Nessuna deplorazione per le illegalità compiute dai manifestanti, per i blocchi autostradali e ferroviari. Gli oppositori che non si associano nel merito alla protesta, salvano la coscienza contestando il metodo. Due diessini sensati, Fassino e Bersani, entrambi favorevoli alla grande opera, si aggrappano, per non trovarsi dalla parte di Berlusconi, alla mancanza di dialogo e di coinvolgimento della popolazione e delle autorità locali. Fassino ha parlato di una «cabina di regia» nella quale, a quanto pare, dovrebbe stare una folla di politici, di tecnici, di pseudo-tecnici rissosi. Qualcosa tipo «prova d’orchestra» di Fellini. La Cgil sentenzia che «non è mai l’uso della forza che dà soluzione ai problemi» ed esorta a un «confronto tra i cittadini e le istituzioni».
Mi spiace per Fassino, per Bersani, per la Cgil - e anche per la gente della Val di Susa - ma queste chiacchiere non bastano per nascondere una verità molto semplice. Il progetto della Torino-Lione, che suscita comprensibili timori e suscettibilità locali, non è revocabile. È frutto di accordi internazionali, ha avuto le approvazioni che un Paese democratico esige, è stato avallato dalla Regione Piemonte (governata dal centrosinistra), è piaciuto oltretutto agli ambientalisti francesi. Se il problema stava tutto in qualche chiacchierata e in qualche pacca sulle spalle tra sindaci della Val di Susa e altre autorità, perché non se ne fa carico la Regione? È che la Regione, e i Ds, e l’Unione di centrosinistra sono presi nella morsa d’una contraddizione, una delle tante. Non hanno il coraggio né di dire un sì franco e definitivo alla Tav, né di dire un no convinto, perché convinti non sono. E allora si rifugiano nel ni. Adesso gli scontri tra polizia e dimostranti li autorizzano a stigmatizzare la violenza celerina, a proclamare che il tunnel ci vuole ma che si deve procedere con buona grazia - guanto di velluto e pugno di gommapiuma - che era opportuno aspettare. Le scorse settimane di tensione e di attesa erano troppo poche, bisognava negoziare, capire, sopire.
Tutto questo è ipocrita. I nodi della vita pubblica non si risolvono in una bicchierata o in un talk show. Gli argomenti pro e contro la Tav non hanno bisogno d’ulteriori illustrazioni, se n’è parlato fino allo sfinimento. I sindaci della valle si sono risentiti per l’intervento di Ciampi, e per non essere poi stati ricevuti al Quirinale. Ma cosa avrebbero potuto dire di nuovo, e cosa avrebbe potuto dir loro, di nuovo, il Capo dello Stato? Nulla. I valligiani hanno i loro buoni motivi: che né al Parlamento, né al governo, né alla Regione sono sembrati tali da esigere il blocco d’una impresa vitale per lo sviluppo del Paese. (Una parentesi. In Val di Susa possono lamentare, e hanno ragioni da vendere, che il governo, così risoluto per la Tav, abbia invece ceduto alla ribellione di Scanzano contro la discarica).
Comunque non c’è stato nulla di autoritario in questo processo decisionale. Le reazioni ed emozioni della gente che in Val di Susa non vuole la Tav sono, lo ripeto, comprensibili. Guai però a farsi guidare dall’emotività, che i demagoghi sfruttano con astuto cinismo.

All’emotività abbiamo immolato il nucleare italiano, e ne paghiamo il costo nella bolletta elettrica. A sentir loro i negazionisti hanno sempre un’alternativa valida, straordinaria, miracolosa e a basso costo da presentare. Vendono - alcuni in buona fede - soltanto fumo.

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