È stato un anno difficile per tutti, ma per i nostri ragazzi lo è stato ancora di più. Certo non sono stati le grandi vittime della pandemia, ma i grandi dimenticati sicuramente sì. L'adolescenza è una tempesta e se, nel bel mezzo della tempesta, si aggiunge anche un uragano...
I nostri ragazzi sono stati travolti e trascinati nel loro anno più buio: depressione, rifugio nei social e in tragici «giochi estremi», abuso di sostanze, esposizione esagerata a schermi di ogni tipo, pochissimi contatti reali, molta solitudine. Niente amici, niente sport, niente feste, niente «giri», niente stadio, niente locali.
Dove sono finiti i nostri figli? Chiusi nelle loro stanzette, quando sono così fortunati da averne una. Forse è stato proprio pensando a quanto siano stati bistrattati in questo ultimo anno, che nel suo primo discorso agli italiani Mario Draghi ha parlato del futuro che lasceremo ai nostri figli: già abbiamo tolto loro il presente...
All'inizio, la situazione sembrava grave, ma temporanea. E questo, paradossalmente, ha peggiorato le cose. Furio Ravera, psichiatra e psicoterapeuta, è cofondatore delle Comunità terapeutiche Crest e La Ginestra con Roberto Bertolli e dirige i reparti Abuso e dipendenze da sostanze stupefacenti e farmaci e Disturbi di personalità e disturbi psicotici alla casa di cura Le Betulle ad Appiano Gentile. Insomma, è uno che per lavoro vede situazioni difficili, e si occupa di affrontarle, una esperienza che cerca di condividere anche con i genitori, come nel suo libro Anime adolescenti. Quando qualcosa non va nei nostri figli. Come accorgersene e cosa fare (Salani Editore). Più che un saggio, un manuale pratico per farsi trovare un po' meno «impreparati» nel mestiere caratterizzato dalla massima impreparazione possibile.
LA PRIMA FASE
Ecco, di queste «situazioni difficili», nell'ultimo anno Ravera ne ha viste ancora di più. E spiega che proprio lo spirito «battagliero, quasi glorioso» della prima fase, quella del lockdown drastico di un anno fa, ha subìto un brutto colpo in autunno, quando i sogni sulla fine imminente della pandemia si sono scontrati con la realtà; e, visto che la prima a risentirne è stata la scuola, «quello che è il cardine della vita dei ragazzi è saltato». Con le lezioni a distanza, ciascuno si è ritrovato nella sua stanza, detto che poi c'è chi dorme in salotto, chi divide la camera con un fratello o due. La concomitanza che molti genitori lavorassero (e tuttora lavorino) da casa ha fatto sì che «anche il mondo domestico abbia subito uno scossone»; quindi i nostri ragazzi hanno subito «un vulnus psicologico, che si traduce in stress, e lo stress è la benzina che alimenta tutti i disagi psicologici, e fa sì che si aggravino». In pratica, «se uno ha una vulnerabilità, lo stress la aumenta» e quindi si sono aggravate tutte le patologie ad esso collegate, come «l'abuso di droghe e di alcol, l'autolesionismo, i disturbi alimentari». E poi la depressione, quella che compare già verso i 17-18 anni, peggiorata dall'isolamento.
DIPENDENZE IN AUMENTO
Un esempio semplice e assai tipico del momento attuale: «Molti ragazzi, chiusi in casa, nella noia del lockdown hanno iniziato a cercare conforto nella cannabis. Qualcuno mi ha detto di essersi fatto delle vere scorpacciate, che poi hanno portato a scompensi, attacchi di panico, idee persecutorie... Alcuni mi hanno detto: Dottore, fumavo tutto il giorno, perché non avevo altro da fare». Videogiochi e canne. «La vita degli adolescenti è fatta dallo stare in gruppo, parlare davanti a scuola, prendersi in giro, scherzare, il cortile, i corridoi, gli sguardi, gli incontri», ma tutta questa vita, tutto questo mondo, all'improvviso è scomparso. «Nel vuoto, le dipendenze si infilano di gran carriera». Un vuoto totale: di relazioni, che alle medie e alle superiori cominciano a diventare quelle «della vita», e di cose, cose concrete da fare e vedere e sperimentare, al posto delle quali ci sono state soltanto, per mesi e mesi, «lezioni pesantissime a distanza, relegati in una stanza», ore e ore davanti allo schermo, con il paradosso che proprio quegli schermi che i genitori cercano di combattere dovessero essere usati per studiare. «C'erano ragazzi che passavano anche dieci ore al giorno davanti a uno schermo: sei di lezione, altre due per i compiti, e un altro paio con i videogiochi».
Il corpo, grande dimenticato insieme agli adolescenti. «È stato tagliato fuori, e il corpo è ciò attraverso cui ci presentiamo, è attraverso il corpo che l'adolescente vive le sue sfide», e invece la vita dei ragazzi è stata ridotta a «tipi di relazionalità e di conoscenze incorporei».
IL CERVELLO A 16 ANNI
Non è semplice la vita dell'adolescente, perché «propone un sacco di problemi nuovi»: i ragazzi devono già affrontare l'immenso «mondo extra familiare, fatto di amicizie, accoglienza, rifiuto, e poi le prime questioni sentimentali, vissute ogni volta come l'amore per la vita». E lo è, perché nel momento dell'adolescenza il cervello, a livello della corteccia e dei lobi frontali subisce «una potatura dei circuiti», per prepararsi «come un computer bello pulito, pronto a ricevere i nuovi programmi che riguardano la vita adulta». Il prezzo di questo cambiamento cruciale è un periodo di scarsa fornitura di armi per controllare le emozioni e l'istinto. Ecco che da sentimenti così forti possono nascere «soluzioni» come tagliarsi, perché il gesto «riduce per qualche minuto questi stati di tensione interna intollerabili, indescrivibili». I dati che Ravera mostra in Anime adolescenti sono sconcertanti: il 20% dei ragazzi in Italia «adotta comportamenti autolesivi occasionali o ripetuti nel tempo». Ma questi sono numeri del 2019, prima della pandemia, durante la quale, dice Ravera, non solo il fenomeno «è aumentato», ma «c'è stata anche una ripresa in pazienti nei quali eravamo riusciti a ridurlo grazie alla terapia».
A incombere sui genitori è la paura: che accada ai propri figli, e che non ce ne si accorga; ed è proprio questa stessa paura che, spesso, impedisce di vedere. Perciò il punto cruciale, dice Ravera, è «osservare i nostri figli, e annotare i cambiamenti bruschi». Molti genitori confessano, disorientati: «Dottore, non vedevo». Allora bisogna «osservare» e soprattutto, «non lasciamoli soli». La stanza dove studiano, che sembra il massimo della tranquillità, può essere la porta spalancata sull'abisso che risucchia il senso, che toglie sapore alla vita e la fa riempire di alcol, droghe, tagli, ma anche schermi inseguiti come un'altra esistenza. «Dovremmo chiamare il cellulare per quello che è: un pc portatile. Diamo ai nostri figli un mezzo potentissimo, più potente del pc con cui siamo andati sulla Luna... Però molti genitori non sanno che cosa succede in rete, non sanno che esiste il deep web, non sanno delle sfide terribili che ci sono sui social».
Ravera è netto: «C'è una responsabilità nell'ignoranza dei genitori. Servono conoscenza del mezzo e dei suoi pericoli, e regole: perché questo liberi tutti sull'elettronica? Dovremmo essere capaci di immaginare limiti e confini, ma sembra quasi un sacrilegio». Se inoltre i ragazzi possono confidarsi con i genitori su ciò che stanno vivendo, e i genitori li ascoltano, difficilmente si andrà incontro a certi problemi, perché i ragazzi sentono di avere un porto sicuro».
Senza dimenticare la scuola, con tutti i suoi contenuti e le sue attività, dalla musica allo sport al teatro: «Un'arma grandiosa per la salute mentale dei ragazzi, se pensata come occasione per esplorare anche la vita». Per ritrovarla, questa vita, e ritrovare anche i nostri ragazzi.
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