Il lato oscuro di quella società perfetta

Il fuoco non cova soltanto sotto la cenere. A volte si nasconde anche nella quiete apparente del ghiaccio e della neve. E in quella, ancor più apparente, di un welfare che tiene saldamente per mano, dalla culla alla tomba, i suoi cittadini-figli. La tragedia norvegese ripropone la solita domanda: «Perché?». E la risposta è la solita: «perché di sì». Perché il seme della follia è apolide, politicamente incolore e socialmente senza confini.
Guardi le famigliole norvegesi in vacanza, magari sulla riviera ligure o su quella romagnola, quei papà belli e atletici come ballerini della Scala con in braccio educatissimi frugoletti bianchi e rosa che non fanno mai i capricci, osservi quelle mamme con fisico da top model anche ben oltre i quarant’anni, pacate, serene, e capisci, anche senza esserci mai stato, che dalle loro parti si sta bene. Che gli asili infantili sono ovattate accademie per under 6, che gli uffici sono luoghi dove il lavoro scaturisce spontaneo dal democratico e responsabile contributo di tutti, che le donne non hanno bisogno di alzare la voce, per ottenere rispetto, perché il rispetto è scritto nelle loro carte d’identità. È il modello scandinavo: fiore all’occhiello dell’Europa più avanzata, un po’ sassone e un po’ vichinga, occidentale nel senso più alto (e non soltanto geograficamente parlando). Lassù, se righi dritto, sei in una botte di ferro 365 giorni l’anno. Lassù, pagare le tasse è come offrire un giro di birra a tutto il Paese, o come portare il proprio mattone che va a costruire un presente pacifico e un futuro ancora migliore.
Ma l’estasi, per quanto ecumenica ed estranea alle gerarchie di classe, anche a quelle latitudini non cancella il tormento. Ed è curioso, oltre che crudele, riandare ora con il pensiero a quanto pensato e scritto in occasione del disastro che, nel marzo scorso, colpì un altro Paese lontanissimo, sotto ogni rispetto, dal nostro latino pressappochismo, endemico e addirittura istituzionale: il Giappone. «Come fanno a non dar fuori di matto, a non correre disperati per le strade piangendo a dirotto?», ci chiedemmo, basìti di fronte alla compostezza dei terremotati e delle vittime dello tsunami. «Ma loro sono tutti un po’ samurai, il dolore lo tengono dentro, non sprecano tempo ed energie a esternarlo, preferiscono mettersi subito al lavoro», ci risposero storici e sociologi con toni mesti, giustamente ammirati.
Ecco, oggi si replica. In città e nei fiordi la gente obbedisce alle autorità per il semplice fatto che le riconosce come tali, non come parassiti privilegiati. «State lontani»; e loro si allontanano. «Defluite con calma»; e loro eseguono. Però, dentro, s’interrogano, scavano nella coscienza nazionale ferita da un oltraggio giunto come fulmine a ciel sereno.
A dir la verità il cielo iperboreo di Oslo, come quello di Stoccolma o di Helsinki, del tutto sereno non è. Alcuni fantasmi, dal basso di una terra percepita da qualcuno (da troppi) paganamente come suolo sacro e intoccabile, proiettano le loro inquietanti ombre oltre le rade nuvole del tran tran quotidiano. La calma piatta, la bonaccia, dunque, è soltanto in superficie. Più giù, ci sono le correnti infernali del maelstrom. E magari fossero soltanto le inquietudini etiche ed estetiche pennellate dal sublime Edvard Munch. Magari fossero soltanto gli slanci panici e distruttivi, letterariamente parlando, di Knut Hamsun, premio Nobel del 1920 il quale, con largo anticipo rispetto all’Europa meridionale, disegnò i tratti marcati di un esistenzialismo scarnificato e addirittura sanguinario.
Perché le sotterranee simpatie per un certo milieu, per una certa nostalgia nazisteggiante, sporca gli strati inferiori, ancestrali, del suolo norvegese, e insidia le coltri candide o verde smeraldo su cui riposa quella specie di paradiso da depliant turistico e da corso monografico di Scienze politiche. Prendiamo Kristian Larssøn Vikernes. Un nome che poco o nulla dice alla stragrande maggioranza di chi legge. Cantante e musicista classe 1973, si è ribattezzato Varg (cioè Lupo, nell’antica lingua norrena) e soprattutto Qisling, togliendo una «u» dal cognome di Vidkun Quisling, l’ufficiale dell’esercito norvegese che si mise al servizio di Hitler. Leader di se stesso nel progetto black metal Burzum, nel ’93 uccise l’ex amico Øystein Aarseth, detto Euronymous, non prima di aver bruciato alcune chiesette in legno, visto che ogni buon satanista come lui non le può vedere...
Ebbene, anche un personaggio come Vikernes è considerato un idolo e un modello da imitare da non pochi ragazzi norvegesi, gonfi di alcol e di cattive lezioni. Gli stessi ragazzi che mai ascolteranno altre lezioni come quelle del maestro Dag Solstad.

L’autore di Tentativo di descrivere l’impenetrabile e Timidezza e dignità (editi in Italia da Iperborea), gloria vivente della letteratura norvegese, ha quasi trent’anni più di Vikernes. Forse anche per questo la sua arma, del tutto civile, è il radicalismo anticonformista con cui pungola una società adagiata sugli allori. E che, nei brevi sonni della sua equilibratissima ragione, può generare mostri.

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