Il lavoro c’è, ma nessuno lo vuole

Trovare lavoro in Italia non è affatto difficile, però occorre anche essere disposti a «sporcarsi le mani», cioè a fare un lavoro non puramente intellettuale. I dati della rilevazione che i giovani imprenditori della Confartigianato di Firenze hanno commissionato al sistema informativo di Unioncamere, mostrano un quadro del tutto diverso da quello delle statistiche ufficiali, le uniche che attirano l’attenzione dei nostri progressisti, che sono scesi in piazza sabato, per protestare contro il governo e la sua maggioranza, che non sarebbero in grado di affrontare i problemi reali del Paese... Mentre la disoccupazione ufficiale ha superato l’8,5 per cento e quella dei giovani sino a 25 anni di età è al 20 per cento, la ricerca commissionata dai giovani artigiani fiorentini mostra che c’è una grande carenza di persone che sappiano fare un’arte o mestiere, di quelle che comportano un lavoro che comporta una attività manuale, ma anche una specializzazione tecnica, che non si acquista sui libri, ma con altri modi di apprendere. Le imprese artigiane oggetto della rilevazione hanno programmato, nel 2009, 114mila assunzioni, a fronte di 158mila riduzioni di personale, dovute in grandissima parte a pensionamenti. Fra le assunzioni programmate c’erano 3.430 elettricisti, ma ne hanno potuti reperire solo 2.230. Non sono riusciti a reperirne 1.200. Volevano 670 falegnami e ne hanno trovati solo 268, mentre il 60 per cento delle richieste è stato senza esito positivo. Per i carpentieri edili su 1.800 posti da coprire, ben 666 pari al 37% sono rimasti vacanti. E per i parrucchieri, una professione in cui qualche decennio fa c’era una offerta in esubero rispetto alla domanda, più della metà dei posti programmati ha comportato incapacità di reperimento. Grandi difficoltà per trovare idraulici e termo idraulici e meccanici, ma anche fornai e pasticcieri. In totale sono rimasti non coperti ben 23.500 posti di lavoratori dell’artigianato di cui 13.500, cioè il 58% sono posti di operai specializzati.
Questi risultati non stupiscono. Infatti è una esperienza che hanno tutti, quella della difficoltà di trovare un idraulico, un elettricista, un falegname, un bravo meccanico che ripari l’auto o la moto, un verniciatore, un decoratore, un piastrellista o anche un semplice imbianchino. Il nostro sistema scolastico, vittima delle riforme progressiste, si è orientato, dagli anni 70 del Novecento in poi all’aumento del tasso di scolarità, con particolare riguardo all’elevamento dell’età scolare della scuola dell’obbligo e all’accesso di chiunque alle medie superiori e al titolo di studio universitario. L’istruzione professionale è stata disprezzata, con il falso concetto che «sporcarsi le mani» sia qualche cosa di umiliante.
Le scuole tecniche hanno perso sempre più il carattere di scuole per le arti e professioni con una componente di lavoro manuale. Le Regioni hanno trascurato le scuole per le professioni cosiddette tradizionali, che spesso sono molto moderne, in quanto gli strumenti tecnici e i materiali attuali sono molto più avanzati di quelli di una volta. L’apprendistato artigiano non è abbastanza incentivato e gli artigiani pagano l’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive, anche sul costo del lavoro degli apprendisti. Nelle politiche per il Mezzogiorno c’è una analoga politica, negativa con riguardo a queste specializzazioni. E del resto, il fatto di avere un titolo di studio, viene considerato, in particolare nel Mezzogiorno, un importante fattore di elevazione sociale, mentre questa impostazione spesso genera una nuova forma di disoccupazione giovanile. Il ministro Gelmini, per la verità, nella recente riforma della scuola ha lanciato un importante segnale, per un deciso cambio di rotta, stabilendo, con un emendamento del relatore Cazzola, che l’ultimo anno di scuola dell’obbligo può essere utilizzato mediante l’apprendistato retribuito. La Cgil, che dovrebbe essere a favore dell’occupazione, si scaglia contro questa norma, sostenendo che essa «annacqua» l’obbligo scolastico. Molti anni fa, la nobiltà del lavoro consisteva nello «sporcarsi le mani». Ora per questo sindacato progressista ciò è vergognoso. Le cose non vanno meglio per quanto riguarda la cultura prevalente con riguardo agli immigrati. Il fatto che in Italia ci siano oramai oltre 2 milioni di lavoratori immigrati ufficiali e un ulteriore esercito di immigrati clandestini non ha alleviato minimamente questo problema, anche perché coloro che hanno a cuore la causa degli immigrati si preoccupano del loro diritto ad avere la cittadinanza o a votare, si occupano e preoccupano della loro «integrazione sociale», ma non si occupano di promuoverne la preparazione a un’arte o mestiere.
I giovani sbagliano a non orientarsi al lavoro nelle arti e mestieri. Esso consente interessanti occupazioni e chi lo fa prima come apprendista, poi come lavoratore dipendente, può diventare poi un imprenditore in proprio.

E sbagliano i genitori a non indirizzare i figli in questa direzione, che non esclude affatto di studiare anche nelle medie superiori e, magari, all’Università se si desidera passare dall’impresa artigiana all’impresa specializzata di maggiori dimensioni. Ma è una intera cultura che va cambiata.

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