Contenuti sui social e utilizzo di internet durante il lavoro, ecco cosa si rischia

In alcuni casi si può addirittura arrivare al licenziamento del dipendente. Cosa dicono le sentenze della Cassazione

Contenuti sui social e utilizzo di internet durante il lavoro, ecco cosa si rischia
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L'abitudine di navigare in rete e quella di utilizzare i social network nell'arco dell'intera giornata è molto diffusa in tutto il mondo, Italia compresa, ma cosa può accadere a un dipendente che non riesce a resistere alla tentazione di accedere a internet per motivi personali durante l'orario di lavoro?

Per quanto al giorno d'oggi usare internet sia divenuto praticamente necessario se non persino indispensabile per svolgere le proprie mansioni quotidiane in molte professioni, è vero anche che accedere alla rete e navigare solo per questioni di carattere personale non è certo visto di buon occhio da un datore di lavoro: questa prassi può infatti causare ingiustificabili distrazioni e addirittura portare il dipendente a non svolgere correttamente i doveri per i quali viene retribuito.

Ecco perché in alcuni casi, proprio per evitare a priori che si possano verificare situazioni del genere, alcune aziende preferiscono stabilire delle norme e delle limitazioni direttamente nel loro regolamento interno: in genere si vieta di utilizzare i social network o si impone di limitarne l'uso solo durante delle brevi pause ed esclusivamente qualora ciò non incida in negativo sul lavoro.

Ma la violazione disciplinare può portare anche al licenziamento? Partendo dal presupposto che la sanzione deve essere comunque proporzionata alla colpa del dipendente, nei casi più gravi si può anche arrivare all'allontanamento per giusta causa.

Per comprendere cosa può accadere, è possibile ad esempio citare la sentenza 3133 della Cassazione, datata 1 febbraio 2019: la Suprema Corte confermò la legittimità del licenziamento di una lavoratrice di cui era stato documentato un uso di internet per scopi personali superiore al tempo dalla stessa dedicato sul computer a svolgere le proprie mansioni.

La sentenza 2363 pronunciata dal Tribunale di Bari il 10 giugno 2019 fa riferimento invece all'utilizzo per scopi personali di un cellulare aziendale da parte di una dipendente: la donna, nel corso del proprio orario di lavoro, aveva l'abitudine di accedere al proprio profilo Facebook, svolgendo attività incompatibili coi proipri doveri. Non solo: a rendere ancora più grave la situazione il fatto che la lavoratrice aveva addirittura condiviso informazioni riservate con concorrenti dell'azienda. Il licenziamento fu la giusta conseguenza per tutte le violazioni contestate.

Stesso destino per un lavoratore che postò commenti offensivi nei confronti del datore di lavoro su Facebook, a testimonianza del fatto che anche i contenuti pubblicati sui social possano risultare determinanti: la violazione dell'obbligo di fedeltà comportò il licenziamento, confermato dalla Cassazione con sentenza 10280 (27 aprile 2018).

Compromettente anche il contenuto pubblicato da un altro lavoratore, che postò foto mentre suonava a un concerto, pur essendo assente per malattia: anche in questo caso il licenziamento fu confermato dalla Suprema Corte (sentenza 6047 del 13 marzo 2018).

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