Il grande esodo del capitale umano

Tra il 2013 e il 2022, oltre 132mila laureati tra i 24 e i 34 anni hanno lasciato il Paese

Il grande esodo del capitale umano
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La rivoluzione digitale cambia anche la geopolitica. La competizione tra Stati non si gioca più solo sul terreno della forza militare. Il soft power assume un'importanza crescente. E, in quest'ambito, il rango delle diverse nazioni dipende sempre di più dalla loro capacità di formare e attrarre menti giovani e brillanti, in grado di generare crescita e innovazione. A competere in questa speciale gara non sono solo Stati Uniti e Cina. Altri Paesi, pur non essendo in prima linea per forza strategica, giocano un ruolo, perché eccellono nel campo della formazione. Se ne potrebbero citare diversi e, tra gli altri, Australia, Svezia, Svizzera, Regno Unito. Vi è chi, invece, ormai troppo indietro per recuperare il tempo perso, deve rassegnarsi a guardare questa partita dal di fuori. E poi, c'è l'Italia. Un vivaio d'eccellenza, che investe tante risorse pubbliche per formare i suoi fuoriclasse ma non è in grado di trattenerli. I dati sono impetuosi. Tra il 2013 e il 2022, oltre 132mila laureati tra i 24 e i 34 anni hanno lasciato il Paese. Mentre solo 45mila sono rientrati, con un saldo negativo di 87mila talenti persi. Dopo la pandemia, le partenze sono riprese con rinnovato slancio. Al punto da suscitare un grido d'allarme: oltre la piaga dell'immigrazione c'è anche il danno che sottotraccia sta provocando l'emigrazione intellettuale!

Si potrebbe obiettare: nella società globalizzata del XXI secolo non si può considerare l'immigrazione negli stessi termini di quando, agli inizi del Novecento, Luigi Einaudi dubitò che l'abbandono dell'Italia da parte di tanti suoi figli potesse rappresentare un vantaggio, anche economico, per il paese. L'obiezione è sensata. Il problema per l'Italia di oggi, però, non è solo «chi parte»; è anche «chi non arriva». Nel 2023, l'Italia si posiziona nelle retrovie dell'Indice che misura la capacità di un Paese di attrarre professionisti altamente qualificati. Solo il 12% di chi vi giunge possiede una laurea, la percentuale più bassa dell'area OCSE.

Il fatto è che ricercatori brillanti, fondatori di startup, nomadi digitali del XXI secolo non si spostano per sfuggire alla disoccupazione. Lo fanno perché possono scegliere dove investire per il loro futuro in termini di denaro, formazione, qualità della vita. E allora, perché mai un neolaureato tedesco o un suo coetaneo italiano che ha studiato a Berlino dovrebbe venire in Italia per uno stipendio d'ingresso di 30mila euro l'anno, quando in Germania ne guadagna più di 50mila? Gli ostacoli della burocrazia e l'incertezza normativa, per di più, non aiutano. In Italia trasformare uno stage con permesso di soggiorno per studio in un contratto a tempo indeterminato può trasformarsi in un incubo: tra richieste di residenza, conversioni e lunghe attese. Gli incentivi fiscali per il rientro dei cervelli dall'estero, inoltre, sono misure non strutturali. E, infine, va considerato il «fattore ricerca». Scienziati e innovatori cercano ambienti con finanziamenti adeguati e laboratori d'avanguardia. E l'Italia in questo genere di investimenti ha speso nell'ultimo decennio meno dell'1,5% del PIL, piazzandosi diciottesima in Europa.

Le ristrettezze di bilancio non consentono rivoluzioni copernicane. Alcuni interventi sono, però, possibili: rimodulare le agevolazioni fiscali per i lavoratori altamente qualificati che rientrano; potenziare i meccanismi di fast-track per eliminare gli ostacoli burocratici che scoraggiano a scegliere l'Italia; introdurre stabilmente un credito d'imposta per le imprese che assumono i giovani provenienti dall'estero altamente qualificati. Poche misure concrete, insomma, con costi ben perimetrati e indicatori chiari di impatto.

Nella consapevolezza che la questione delle alte competenze non è un lusso. Perché continuare a essere fornitori di cervelli per chi sa valorizzarli meglio comporta un prezzo e, ancor più, un rischio: restare spettatori, mentre altri giocano la partita del futuro.

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