Lavorare in Svizzera, come pagano le tasse i frontalieri

La politica relativa alle imposte sui redditi per chi lavora all’estero è frutto di accordi siglati coi singoli paesi e, spesso, per mantenere un rapporto equilibrato, occorrono tecniche di alta diplomazia. Ecco come funziona l’imposizione fiscale per i frontalieri che lavorano in Svizzera

Lavorare in Svizzera, come pagano le tasse i frontalieri

Lavorare all’estero può porre problemi in materia di imposte sui redditi e questo non riguarda soltanto i cittadini italiani i quali, pure espatriando, mantengono la residenza fiscale in Italia. È argomento di rilievo anche per i frontalieri, ossia quei lavoratori che varcano quotidianamente il confine per andare a lavorare all’estero e rincasano la sera.

L’Italia firma accordi con molti stati per evitare la doppia imposizione fiscale e, concentrandoci unicamente sulla questione dei lavoratori frontalieri, occorre scendere un po’ più in profondità per comprenderne le dinamiche.

Chi sono i lavoratori frontalieri

Oltre alla necessità di varcare il confine ogni giorno, per godere dello stato di lavoratore frontaliere è necessario che concorrano anche altri elementi:

  • il lavoratore deve risiedere in Italia
  • deve lavorare sul territorio di uno stato limitrofo all’Italia
  • deve avere un rapporto di lavoro esclusivo e continuativo
  • deve avere un domicilio fiscale in un comune che rientra nel raggio di 20 chilometri dal confine svizzero.

Lo status di frontaliere può essere applicato soltanto a chi risiede in Lombardia, in Piemonte, in Valle d’Aosta e nella provincia autonoma di Bolzano. Parimenti, occorre che il lavoratore presti la propria professione nel Cantone Grigioni, nel Cantone Ticino o nel Canton Vallese.

Per dare corpo alla questione con un esempio, un cittadino che risiede a Varese e ha un contratto di lavoro con una sola azienda di Lugano e rincasa ogni sera è un frontaliere.

Un lavoratore Italiano che risiede a Roma e ha un rapporto di lavoro con un’azienda di Zurigo e fa ritorno nella Capitale solo durante il fine settimana non è un lavoratore frontaliero.

Le imposte sui redditi dei frontalieri

A dicembre del 2021 il Consiglio dei ministri italiano ha approvato un disegno di legge relativo agli accordi tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera per evitare doppie imposizioni e per fare il punto su alcune norme relative alle imposte sui redditi e sul patrimonio.

Roma dialoga con Berna ed è un bene, perché il Cantone Ticino usa spesso la questione frontalieri per scagliarsi contro l’Italia, sia la Lega dei Ticinesi sia l’Udc (Unione democratica di centro) perseguono una politica che tende a limitare la libertà delle aziende nell’assumere persone residenti nella Penisola, soprattutto per ridurre il tasso di disoccupazione tra i residenti del Cantone italofono.

Si tratta di un accordo fiscale che si erige su leggi precedenti impone che:

  • venga stabilita l’entità del reddito da lavoro del frontaliere
  • venga dedotta la franchigia annua di esenzione in materia di Irpef pari a 7.500 euro (così come legge 388/2000) per chi non può ottenere lo stato di frontaliere
  • venga applicata la tassazione Irpef sulla differenza tra reddito percepito e franchigia, così come disposto dalle norme del decreto del presidente della Repubblica 917/1986.

Secondo il nuovo accordo l’imposta sui redditi viene applicata e trattenuta alla fonte, ossia in Svizzera. Ciò significa che, in virtù della convenzione tra Italia e Svizzera, chi ha le condizioni per essere definito frontaliere a tutti gli effetti, non deve pagare imposte in Italia. È la Svizzera, grazie a un sistema di ristorni, a fare pervenire all’Italia parte delle imposte trattenute al lavoratore.

La questione cambia se chi lavora in Svizzera non può godere dello status di frontaliere, tipicamente perché non risiede nell’area di venti chilometri dal confine.

In tale caso le imposte sono da versare in Italia, subentra però una franchigia.

Un esempio di imposizione

Poiché, nel computo delle imposte, vengono calcolati tutti i redditi del frontaliere, per creare un esempio il più specifico possibile, consideriamo che percepisca uno stipendio annuo di 40.000 euro e che abbia un reddito immobiliare proveniente da una casa ubicata in Italia pari a 6.000 euro l’anno.

Il reddito imponibile di 38.500 euro è ottenuto quindi togliendo la franchigia al reddito da lavoro e aggiungendo il reddito immobiliare (40.000-7.500+6.000).

L’Irpef è un’imposta a scaglioni e, limitatamente al 2023, ha questa pressione fiscale:

  • 23% fino a 15.000 euro
  • 25% fra 15.001 euro e 28.000 euro
  • 35% fra 28.001 euro e 50.000 euro
  • 43% oltre i 50.000 euro

In questo caso, considerando l’inquadramento del reddito imponibile (38.500 euro) nei rispettivi scaglioni Irpef, si ottiene che i primi 15.000 euro vengano assoggettati a un’aliquota del 23%, il reddito superiore ai 15mila euro e, fino a 28.

000 euro, viene tassato al 25% e la parte eccedente al 35%. Nel caso specifico:

  • 000 x 23 / 100 = 3.450 euro
  • 000 x 25 / 100 = 3.250 euro
  • 500 x 35 / 100 = 3.675 euro

Il totale dell’Irpef da versare a fronte di un reddito imponibile di 38.500 euro risulta quindi di 10.375 euro, ossia il 26,95% circa del reddito complessivo.

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