Mi auguro che il voto di domenica scorsa sia servito almeno a una cosa, a svelenire il clima. La convinzione del nemico inespugnabile, despota col favore del popolo, ha innescato un livore che sfocia da un verso nel disprezzo degli italiani che votano Berlusconi e dall’altro nell’idea del tirannicidio. Se non lo puoi buttar giù per via democratica, non resta che l’ipotesi estrema, criminalizzarlo, in parallelo col raìs e con i dittatori del presente e del passato, Hitler incluso. Una rabbia che si tagliava con il coltello. Adesso che si riapre la partita del voto e dell’alternanza, senza resistenze anti-democratiche da una parte e senza forzature e sentenze dall’altra, il conflitto ritorna sul terreno del voto e della dialettica politica.
Si era creata un’incivile catena: media e intellettuali sono rimasti ostaggio delle minoranze più isteriche e feroci, le trentamila insegnanti assatanate di cui scrive Pansa. E la politica a sua volta, e perfino la magistratura, venivano contagiate dalla militarizzazione dei media che inseguivano a loro volta il feroce antiberlusconismo. Un clima da guerra e da stadio che ha coinvolto per ragioni analoghe anche la parte avversa. Il culmine è stato che dopo aver sentito teorizzare a sinistra la differenza antropologica dei berlusconiani, perfino Berlusconi alla fine della campagna elettorale ha sostenuto la tesi inversa, la differenza antropologica della sinistra. Tesi pericolose che spaccano il Paese e scavano abissi tra due Italie.
Questo estremismo manicheo ha contagiato anche intellettuali abituati a ragionare con sobria lucidità e perfino con signorilità di stile, civilissime persone in preda a un’isteria villana o a un furore apocalittico. Ho trovato irriconoscibili persone con cui fino a poco tempo fa dialogavo in modo civile: penso, per esempio, ai professori Gustavo Zagrebelsky e Carlo Galli, all’editore Giuseppe Laterza, a Barbara Spinelli, a Corrado Augias o a Michele Serra, ma l’elenco sarebbe lunghissimo. In molti è scattato un meccanismo che ha coinvolto anche i Saviano o i Travaglio, che di sinistra non sono; sono diventati ostaggi del loro pubblico e dei loro impresari. Eminenti professori abituati a parlare a poche decine di volenterosi si sono trovati platee colme da curva sud, anche nel tifo. Conferenze culturali o presentazioni di libri colti che si accendevano con le allusioni al presente. Un meccanismo perverso di contagio. Si è innescata la sindrome Ninì Tirabusciò: sapevano che lo spettacolo accendeva se a un certo punto il presentatore ordinava il rullo dei tamburi e loro facevano ’a mossa, cioè dicevano una cosa contro Berlusconi. Giù applausi.
Nella rete è caduto pure Umberto Eco e talvolta Vanni Sartori. E molti comici. I peggiori seguivano i riflessi condizionati, come gli elefanti ammaestrati del circo, che alzano la zampa a comando del domatore. Il meccanismo non è spontaneo, ha avuto mediatori. Non sono mancati gli imprenditori dell’antiberlusconismo militante: per esempio, il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, o Paolo Flores d’Arcais con Micromega. O in tv i soliti noti, Santoro, Lerner, Fazio, la Gruber, la Dandini e via dicendo. Ogni intervista diventa un’allusione al tiranno, ogni presentazione di libro, di film o di canzone si infiamma nel riferimento al Dittatore da abbattere. Si è anche interrotto il dialogo con le culture differenti, perché per loro non esiste chi la pensa diversamente: se è da quella parte o non pensa o fa solo i suoi loschi interessi. Stupido o in malafede. Direte che in fondo la stessa aria si respira sul versante opposto e non avete torto. La differenza è che da una parte ci sono a volte titoli sgua-iati, semplificazioni infantili, sberleffi e pacchiani assalti.
Dall’altra ci sono un odio radicale e un disprezzo meticoloso per il nemico; c’è l’uso di fonti sporche e pentiti inaffidabili, ci sono campagne nell’interesse di gruppo e di clan, c’è una manipolazione settaria delle notizie e c’è - e questo mi pare ancora peggio del killeraggio metodico del premier - la cancellazione o la squalifica di chi la pensa in modo diverso, dai «servi prezzolati» al popolaccio «ottuso». Da qui si critica, anche duramente; di là si decreta la morte civile, l’altro non esiste; l’unico modo per eliminare l’avversario senza macchiarsi di sangue. Ora che si riapre la partita politica, dopo il risultato dell’ultimo voto, mi auguro che l’estremismo muti in dia-lettica politica. È possibile che un domani governi la sinistra, senza spargimento di sangue, proprio perché non siamo in un regime. Certo, allora saranno dolori per loro, perché è facile avere un Colpevole su cui addossare tutto il male del mondo e del tempo. Ma nella prospettiva del ricambio, l’odio deve lasciare il posto al confronto, anche serrato, ma civile.
A destra, invece, non cercate capri espiatori del flop. Ho sentito additare il direttore di questo Giornale Sandro Sallusti o la Santanchè, come se fossero le tigri della Malesia (chiamiamoli Sandrokan e Santakan) per aver estremizzato la Moratti. Magari fosse così banale la causa della disfatta. Qual è la lezione del voto? Uno, che il popolo non è assegnato in natura al centrodestra, il consenso non è automatico e permanente, a prova di tutto; bisogna conquistarselo. Due, non si può pensare che basti per tutto e per tutti Berlusconi e la sua vicenda personale.
Tra il leader e il popolo non ci può essere il vuoto; ci dev’essere un partito, una classe dirigente, un habitat civile, mediatico e culturale, una linea politica, un progetto serio, una passione civile. Basta tirar fuori le unghie e i denti; tirate fuori la testa e il cuore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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