Sono assolutamente d’accordo con il direttore Vittorio Feltri quando sostiene che «è arrivato il momento che gli elettori si facciano sentire con ogni mezzo lecito» per combattere le deviazioni di una parte della magistratura e per riaffermare la sovranità del popolo.
È evidente ormai che il macigno che da oltre vent’anni pesa sulla storia del nostro Paese è rappresentato da un grave squilibrio nei rapporti fra i diversi poteri e ordini dello Stato.
In questione non è l’indipendenza della magistratura, tutelata oltre misura, bensì l’indipendenza e l’autonomia del Parlamento e della sovranità popolare dagli arbitri di alcuni magistrati.
Una piccola ma rumorosa e potente fazione della magistratura agisce come un partito politico, stravolgendo le regole fondamentali della democrazia e alterando il corso della vita politica italiana.
La vicenda umana e politica di Giulio Andreotti, di Bettino Craxi, di Enzo Tortora, di Calogero Mannino, di Ottaviano Del Turco e di Silvio Berlusconi, sia pure diverse fra di loro, dimostrano chiaramente che in Italia la politica è sotto scacco e che gravi ingiustizie sono state commesse ai danni di persone che rivestivano e rivestono importanti responsabilità.
Oltre alle sofferenze patite dalle singole persone e dalle loro famiglie, iniziative giudiziarie che si sono rivelate dopo anni e anni di indagini e di processi totalmente destituite di fondamento, hanno cambiato il corso degli affari pubblici e negato il responso democratico degli elettori.
Governi democraticamente eletti (sia di centrodestra che di centrosinistra) sono caduti per iniziative giudiziarie rivelatesi frutto di preconcetti politici oppure di smanie di protagonismo.
Tutto ciò senza che nessun magistrato venisse chiamato a rispondere dei propri errori e delle proprie responsabilità.
È venuto il momento di dire basta e procedere ad una profonda riforma della giustizia.
La riforma della giustizia è necessaria e non più rinviabile per queste tre ragioni obiettive: innanzitutto per riequilibrare il rapporto fra i poteri e gli ordini dello Stato in una democrazia sana e ben funzionante; in secondo luogo per garantire il diritto di ogni cittadino ad una giustizia giusta e in tempi certi; infine perché un’amministrazione della giustizia efficiente e giusta rappresenta una condizione indispensabile per l’intero sistema economico e per la possibilità di attrarre investimenti esteri in Italia.
La riforma della giustizia deriva dunque dalla necessità di ripristinare un giusto rapporto tra diversi poteri e ordini dello Stato, a cominciare dal rapporto fra politica e giustizia, cioè tra la sfera della responsabilità politica, che trae la sua legittimazione dalla sovranità democratica, e l’ordine della giustizia, che esercita il proprio ruolo in assoluta indipendenza applicando le leggi votate dal Parlamento. Fin dall’assemblea costituente, un padre della Costituzione e insigne giurista come Piero Calamandrei poneva già allora il problema di un corretto rapporto tra la sovranità del Parlamento e il potere della magistratura, proponendo addirittura un commissario generale per la giustizia che avrebbe dovuto far parte del Consiglio dei ministri, con il compito di verificare l’amministrazione della giustizia sulla base delle indicazioni generali approvate dal Parlamento.
Che cosa possono fare i cittadini per far sentire la propria voce?
Forse un’iniziativa stringente potrebbe essere quella di accompagnare la riforma della giustizia con un’iniziativa legislativa promossa direttamente dai cittadini: una proposta di legge di iniziativa popolare.
Questo strumento potrebbe consentire un’iniziativa capillare di informazione che coinvolga in tutto il Paese milioni di cittadini.
Una mobilitazione straordinaria e senza precedenti che coinvolga non solo il Parlamento, ma anche il corpo elettorale.Sandro Bondi
Ministro per i Beni culturali e coordinatore Pdl
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