nostro inviato a Londra
La felicità di Barcellona è Leo che non sembra Messi. Fa un gol straordinariamente normale, gioca una partita incredibilmente. Il marziano sceso sulla terra per riportare la coppa in Catalogna. Messi vince così: senza bisogno di una gemma, senza la giocata che lascia il pianeta senza fiato. Basta un tiro centrale. Basta perché c'è: Leo è quello che nella partita decisiva ci mette la faccia e se basta quella normale tanto meglio. L'Europa è ancora sua: Londra 2011 è come Roma 2009, Wembley è come l'Olimpico. Lui, più degli altri, lui più di tutti: questa è la squadra di Xavi, ma non vive senza Leo. Perché è la certezza della possibilità: una ossimoro che spiega ogni sua giocata: ci prova e anche quando non gli viene la sensazione che lascia è quella di chi non sbaglierà per novanta minuti. Allora si riposa un tempo e poi va. Si mette il pallone tra i piedi e la squadra sulle spalle: vamos. Si corre per prendersi una Champions che sa di qualcosa di più: l'ultima era stata sua l'ultima degli anni Zero, è sua questa degli anni Dieci.
Messi si prepara a essere il primo giocatore simbolo di due decenni. C'è sempre stato uno: gli anni Sessanta sono stati di Pelé, i Settanta di Cruyff, gli Ottanta di Maradona, i Novanta di Ronaldo. Adesso c'è Leo. Lui. Perché gli anni zero hanno avuto anche Zidane e adesso hanno anche Cristiano Ronaldo. Ma uno ha chiuso male la sua stagione, l'altro non ce la fa a reggere il confronto con Lionel. Come Rooney che segna, lotta, si sbatte, ma non riesce ad arrivare all'avversario. Allora Messi. Che s'è preso un decennio e sfonderà anche il prossimo: gli zero per un dieci e poi i dieci per l'ultimo dieci. Lionel è nostro: ti arriva via satellite ogni weekend in diretta. Ciò che non avveniva per gli altri, avviene oggi. Sai che c'è, in Spagna e ovunque. Perché arriva in contemporanea e sprigiona quello che ha e quello che è nello stesso istante in tutto il globo. Leo è il primo campione 2.0, la versione migliorata di qualcosa cha abbiamo già visto.
E' la modernità di un ruolo pallonaro che tutti vogliono romanticamente riportare in bianco e nero: dicono che sia la purezza del calcio come dovrebbe essere, quindi com'era, del pallone senza freni e senza troppe regole, senza tattica. Il trionfo della fantasia, l'umiliazione della potenza da parte della tecnica. Lo credano pure. Però Leo corre. Corre perché gli hanno chiesto di farlo, perché senza corsa non sarebbe il più forte del mondo. Veloce coi piedi, veloce nella testa. Tutto quello che sembra e che invece non è: dicono sia un marziano in un mondo fuorimisura per lui, invece la verità è che è diventato quello che è solo perché è perfetto per il pianeta che abita. E' la genialità mai fine a se stessa, ma adagiata su uno schema, su un'idea, su un modo di stare in campo. E' il campione di tutti perché non assomiglia a nessuno di quelli che l'hanno preceduto. Non c'entra con Maradona, per esempio. Diego era la squadra, Leo è il più forte di una squadra: non esisterebbe senza gli altri, non sarebbe lui fuori da un contesto.
Messi è quello che esce se spremi il Barcellona e tiri fuori il succo: dolce, sensuale, perfetto, raffinato. E' il calcio passionale e perfetto che mette la classe al servizio di un'idea e l'idea al servizio della classe. Segna come pochi, in un ruolo che prima prevedeva l'estro al servizio dell'assist più che del gol. Per lui no. Lui vede il portiere e calcola come fregarlo. La bellezza estetica della giocata è un mezzo, non un fine: la usa quando è l'unico modo per arrivare all' obiettivo. La velocità no. Quella è l'essenza di tutto: oggi se vuoi diventare come Leo devi avere le gambe che mulinano più di quelle degli altri. Non c'è un solo calciatore che possa permettersi di giocare lento ed essere tra i più forti del mondo. Per essere il migliore, Leo sa che deve essere anche il più veloce. Semplice come il suo modo di giocare, essenziale come le regole di chi sa che il calcio è cambiato. Allora basta paragoni. Diego era Maradona, Leo è Messi. E adesso ha vinto anche di più. Quest'altra Champions è un macigno sul paragone: a 24 anni può ancora prendersi moltissimo.
Allora basta con il confronto: Lionel è semplicemente diverso. Gioca con l'obiettivo di vincere, non con quello di divertire. Wembley l'ha dimostrato: sembrava un gregario, all' inizio. Uno un po' spaesato, uno che preferiva girare attorno.
Ha impostato i parametric: come si batte questo Manchester? Non serve la ricerca ossessiva della giocata. Un tocco e vai, una palla in profondità e vedi che cosa succede, un tiro da fuori e aspetta. Gol. Decisivo, come sempre. Anche se non è da Messi, o forse lo è molto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.