Lesley Blanch, le mille e una vita della piccola Sherazad

Era inglese ma innamorata dell'Oriente. Giornalista, scrittrice, viaggiatrice: una splendida mitomane che sapeva reinventarsi

Una iconoclasta che abbracciava la tradizione mentre rigettava ogni convenzione. Oppure, una che si inventava il suo passato per meglio spiegare il suo presente. E ancora: una che riteneva che il viaggiare consistesse nel regolare la realtà attraverso l’immaginazione... Se si dovesse definire con una sola frase la vita e le opere di Lesley Blanch, scrittrice, viaggiatrice, prima moglie di Romain Gary, morta tre vanni fa dopo aver superato brillantemente un secolo di vita (102 anni, per l’esattezza), ciascuna delle tre riportate si adatterebbe alla perfezione.

Perché Lesley fu uno spirito libero, a disagio nei codici della propria epoca, e tuttavia mai tentato da palingenesi sociali o radicalismi ideologici, e sempre attratto dalla spiritualità del passato, che per lei si incarnava nell’Oriente più che nell’Occidente. Proprio perché a disagio con la propria epoca e con le proprie origini, fuggì la prima e si reinventò le seconde, ma lo fece sulla base di un’affinità elettiva con quello che sentiva dentro di sé, il sogno che è più forte della realtà e che allora si ingegna a forgiare quest’ultima come meglio crede. Viaggiando, applicò la propria cultura e il proprio sentimento a ciò che vedeva e si impegnò a ricostruire, quasi fosse un testimone oculare, ciò che non c’era più: usi, costumi, paesaggi e personaggi. Il risultato di tutto ciò fu una vita d’eccezione e almeno un paio di libri che reggono al tempo.

Adesso Anne Boston pubblica questa monumentale biografia non autorizzata delle Blanch (Lesley Blanch. Inner Landscapes, Wilder Shores, John Murray, pagg. 364, euro 35) che è un capolavoro di equilibrio e di informazione (e hanno fatto male gli esecutori testamentari della scrittrice a negarle l’utilizzo della sua corrispondenza privata). È vero che la stessa Blanch riteneva il mestiere del biografo «qualcosa di impietoso», ma nel caso della Boston c’è da un lato un’attenzione simpatetica rispetto al soggetto narrato, e dall’altro l’assenza di qualsiasi giudizio e/o pregiudizio moralistico. Anne Boston scrive per raccontare e capire, non per giudicare, e non va a caccia di pettegolezzi.

Inglese di nascita, vissuta poi a lungo negli Stati Uniti, e quindi molto nota nel mondo anglosassone, sposata con uno dei più irrequieti scrittori francesi del secondo dopoguerra, e quindi di casa in Francia, Lesley Blanch è pressoché sconosciuta in Italia e qualche dato biografico è quindi necessario. Nata nel 1904, figlia unica, famiglia medio-borghese, bionda, minuta e graziosa, Lesley esordì come illustratrice di libri, si sposò venticinquenne con un pubblicitario, scrisse di moda per Harper’s Bazaar e per Vogue, lavorò durante la Seconda guerra mondiale con la fotografa Lee Miller. Divorziatasi, sposò Romain Gary, più giovane di lei di dieci anni e autore, alla fine della guerra, di un libro, L’educazione europea, salutato come il manifesto della resistenza al nazionalsocialismo. Al seguito del Gary diplomatico, Lesley andò prima in Bulgaria e poi negli Stati Uniti, e scrisse il suo primo best seller, The Wilder Shores of Love, e cinquant’anni: la storia di quattro intrepide viaggiatrici dell’Ottocento che darà il via a un binomio donne-viaggi che ancora continua ai nostri giorni.

A Los Angeles entrò in contatto con il mondo di Hollywood, fu amica di George Kukor, lavorò a scenografie e sceneggiature. Finito il matrimonio con Gary, continuò a scrivere e a viaggiare, fece di Roquebrune e poi di Garavan, al confine tra Francia e Italia, il suo «nido d’aquila», pubblicò negli anni Sessanta The Sabres of Paradise, lo scontro fra il leader caucasico Shemil e la Russia zarista di Nicola I, e poi Journey in the Mind’s Eye: Fragments of an Autobiography. Gli ultimi suoi libri furono una biografia di Pierre Loti, Portrait of an Escapist, scritto che aveva quasi ottant’anni, e un ritratto-ricordo di Romain Gary, Romain, un regard particulier, che ne aveva quasi novanta. Nel 1994, novantenne, un incendio distrusse completamente il rifugio di Garavan, e lei lo ricostruì pietra su pietra. Morì circondata di onori e di onorificenze, con i suoi libri periodicamente ristampati.

Tutto nella vita di Lesley Blanch si svolse all’insegna del verosimile che prende il posto del vero. Apparteneva a quella particolare categoria degli scrittori «mitomani», ovvero di chi trasforma il proprio essere nel proprio voler essere, si ricostruisce laddove non si piace... Non è tanto, o solo, un’invenzione nel nome di un innalzamento, morale, politico, ideologico, e ha a che fare più con l’estetica che con l’etica, un «io sono ciò che voglio essere» che si carica di erudizione a lungo coltivata, sogni a lungo accarezzati, tensioni e illusioni a lungo nutrite.

Sotto questo punto di vista, l’amore con Romain Gary fu l’incontro fra due spiriti simili. Non amavano le proprie origini, avevano un temperamento lussurioso, lo stesso gusto per la teatralità e quindi per il travestimento, lo stesso fastidio per la quotidianità. La differenza più importante è che Gary era al fondo un eterno insoddisfatto, non gli bastava una vita, per quanto rimodellata, ne avrebbe voluto un’altra e un’altra ancora, con biografia e pubblicazioni annesse... Lesley, invece, fin da ragazzina aveva sentito la magia dell’Oriente, la Russia asiatica e profonda, l’Afghanistan con le sue montagne e le sue donne velate, la Persia di rubini e di diamanti, e a questa magia rimase sempre fedele. Vestiva all’orientale, diede vita alla figura di un personaggio, The Traveller, il Viaggiatore, un tartaro delle steppe dagli occhi lunghi e la pelle ambrata che sarebbe stato il suo mentore da bambina, e poi, da adolescente, il suo primo amante. Non esisteva, naturalmente, o almeno non nella forma e nei tempi da lei descritti, eppure da dove veniva questa passione per samovar e tappeti kilim, per sete e dolci di mandorle, per chiese ortodosse e paesaggi selvaggi? Come e perché ci era arrivata ancora bambina, la figlia di due inglesi come tanti altri?

Sposatasi due volte, Lesley dirà sempre di aver avuto tre mariti, metterà al mondo una figlia, di cui si dimenticherà e che verrà data in adozione, ma non racconterà mai chi fosse il padre... In quei buchi neri della sua vita, c’era posto per raccontarne un’altra, e Lesley lo fece.

Il Viaggiatore frutto della sua fantasia fece sì che si innamorasse del regista di teatro russo Komisarjevsky, e poi del figlio dello stesso, Gary la attrasse per i suoi tratti mongoli: era sempre e comunque l’esotismo la molla primaria, l’essere altrove, il sentirsi altro. Il suo primo articolo per Harper’s Bazaar era stato contro la dittatura del beige. Lei era per i colori vivi. Nei vestiti e nella vita. Li indossò in entrambi i campi.

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