Lettera a Bondi Caro ministro sui Tg sbaglia bersaglio

Gentile ministro Bondi, certamente a muoverla all’appello contro la violenza nei telegiornali è stata una grande sensibilità. E altrettanto certamente, dalle prime reazioni di esponenti dell’opposizione, ai quali pure lei si è rivolto, la sensibilità non è equamente distribuita. Tuttavia devo dirle che quel che lei denuncia come «un orientamento generale dell’informazione, sia di quella pubblica che privata, che tratta vicende di cronaca nera senza alcuna cautela e senza alcuna considerazione di chi guarda la televisione, almeno in alcune fasce di ascolto» non rappresenta il problema più grave e serio da affrontare e correggere, almeno secondo il modesto parere di una che nei telegiornali ha lavorato, non molti anni fa, quando erano più affidabili, interessanti e piacevoli di oggi. Ai notiziari non spetta il compito di filtrare ed edulcorare la realtà, guai se così facessero, ma di trasmettere tutte le notizie che è giusto trasmettere, come stampare, senza manipolazioni, omissioni, trasformazioni nel contrario, senza giudizi faziosi che non vengano precedentemente dichiarati come tali.
Capisco il suo disagio, che è quello di molti genitori, nel dover spiegare a suo figlio di dieci anni che Babbo Natale non è, nel caso di cronaca americana da lei citato, un nonno munifico, ma un padre mostruoso e assassino. Quello però era un fatto di cronaca importante, e dunque era doveroso riferirlo sia pur con le cautele delle diverse fasce d’ascolto. Dieci anni sono oggi un’età già solida, e se non gliele spiegano in famiglia le brutte notizie di una faticosa realtà nella quale inevitabilmente vivranno, i bambini rischiano di venirle a sapere fuori, e in modo peggiore. Non resta, insomma, che assumersi la responsabilità dell’educazione. Che comprende anche il dover spiegare che mai, salvo rari casi ed eclatanti, le buone notizie hanno fatto notizia, e noi non ci possiamo fare niente. Quando non c’era la televisione, c’era già la passione per la cronaca nera, per i processi che grondavano sangue, e i bambini ascoltavano le storie degli adulti o sbirciavano i giornali. In fin dei conti, ministro, non sarà un caso se lei ha appena scelto alla guida del Teatro dell’Opera un valoroso giornalista che nel suo programma di collaudato successo alterna sapientemente la politica con la cronaca nera, minuziosamente e impietosamente ricostruita e dettagliata.
Sono d’accordo con lei quando denuncia un circolo vizioso della televisione, in cui non sembra esserci fine «al peggio, al brutto, al deteriore, al pessimismo, al volgare, e all’orrore». Ma è sicuro, ministro, che queste brutte caratteristiche denotino proprio i telegiornali? Io dico di no, e la rimando alla programmazione delle reti, all’intrattenimento scosciato e coatto, alle interviste pruriginose e affollate di importanti uomini politici, alle famiglie che vanno sbavando per quiz di scatole miliardarie, e per trasmissioni di incontri tanto surreali quanto bagnati di lacrime insopportabili. È la legge della televisione commerciale, e ci si adegua o si cambia canale, soprattutto con figli, anche se il segnale è verde. Lì sì che urge farlo. Come urge domandarsi perché una televisione pubblica pletorica e ridondante, pagata per obbligo odioso di legge, eppur infarcita di pubblicità, debba sempre e ad ogni costo seguire le libere regole della tv commerciale.
I telegiornali sono un’altra cosa, e mantengono anche oggi una dignità maggiore. Perlomeno devono stare ai fatti. Certo, la cronaca ha preso negli anni il posto delle notizie di politica interne o internazionale, e questo è un errore micidiale. Certo, sono diventati dei contenitori micidiali di tutto, comprese le notizie di gossip, i lanci compiaciuti delle trasmissioni che seguono, il cinema, i servizi cannibali sulla televisione. Un telegiornale nazionale, in un Paese dell’Occidente sviluppato, non dovrebbe essere confezionato così casualmente e banalmente. Ci vanno le grandi vicende nazionali e del mondo, una bella inchiesta italiana, un bel reportage internazionale, la spiegazione comprensibile di una vicenda economica e finanziaria. Il resto dovrebbe essere trasmesso in altri e più opportuni spazi, non infilato dentro a forza e in più, come per una macedonia.
La molto esecrata informazione della Prima Repubblica, caro ministro, era fatta più o meno in questo modo, e infatti i telegiornali svolgevano un ruolo diverso e più nobile nella società. Nonostante le manifeste etichette di partito, mai avrebbero taciuto per mesi che le provocazioni dei terroristi di Hamas, il lancio di razzi su centomila abitanti, hanno reso inevitabile la reazione di Israele. Non lo avrebbe fatto nemmeno il Tg2, filopalestinese senza vergogna.

Mai avrebbero trasmesso la melassa di buonismo sui diversi da accogliere sempre, sugli extracomunitari bisognosi, sul bambinello Gesù che non vuole entrare nel presepe, senza ricostruire rigorosamente le cifre della delinquenza, della criminalità diffusa, della segregazione delle donne, che caratterizzano e piagano l’immigrazione selvaggia nel nostro Paese.
La prego, faccia un appello anche su queste brutture, e si domandi, signor ministro, se la classe dirigente appoggi e promuova nei telegiornali la professionalità matura e libera.

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