L’informazione libera e di qualità ha un valore, anche economico. In Rete si trovano con facilità moltissime notizie, ma solo alcune sono prodotte professionalmente e arricchiscono il patrimonio di conoscenze dei cittadini-utenti. Gli altri contenuti alimentano un vorticoso e disordinato traffico online che genera disinformazione e finisce per avvelenare l’ecosistema digitale, disorientando l’opinione pubblica e allontanandola dalla comprensione della realtà.
Se è vero che la corretta informazione è un ingrediente imprescindibile della democrazia, solo valorizzandola e rendendola più facilmente riconoscibile si favorisce una equilibrata attuazione dei principi costituzionali, in primis quello della libertà di manifestazione del pensiero, nel pieno rispetto della verità dei fatti e dei diritti delle persone.
Ecco perché l’emanazione, nel gennaio 2023, da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), del Regolamento in materia di determinazione dell’equo compenso per l’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico e la sua applicazione al mercato editoriale rappresentano un tassello importante del mosaico di regole dettate a tutela del pluralismo e della libertà d’informazione e di pratiche virtuose per la valorizzazione dell’informazione di qualità.
Quanto ai colossi del web, amplificare il valore dell’informazione completa, corretta e verificata non vuol dire solo adeguarsi a precisi obblighi di legge ma dimostrare di voler dare un contributo fattivo alla democrazia dell’informazione, pur non avendo come missione quella di produrre direttamente contenuti. Vista anche la “cura dimagrante” che il mercato sta imponendo al loro business, forse i tempi sono maturi per una più risoluta assunzione di responsabilità da parte delle piattaforme online, chiamate a “educare” l’algoritmo, sganciandolo dalle anonime e svilenti logiche commerciali e finalizzandolo alla realizzazione di una Rete al servizio della persona e in grado di coniugare libertà d’impresa e tutela dei diritti.
Nessuno deve immaginare di rimanere ai margini dell’ecosistema multimediale, tutti devono sentirsi coinvolti nelle scelte dalle quali dipende il futuro della Rete.
È come se esistesse un’immensa sala operativa con le porte aperte, alla quale si accede per il fatto stesso di vivere nell’era digitale, impiegando le autostrade informatiche per popolare le tante agorà intellettuali che compongono l’universo virtuale.Ruben Razzante è docente di Diritto dell'informazione all'Università Cattolica di Milano, qui il link per acquistare il libro Il “decalogo” dei (social) media che vorrei
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