La leggenda "nera" dei Templari: ecco la vera storia

Barbara Frale ne "La leggenda nera dei Templari" smonta molti miti che hanno contraddistinto la storia dei celebri monaci-guerrieri e la tragica fine dell'ordine

La leggenda "nera" dei Templari: ecco la vera storia

Quella dei Templari è una delle poche storie del mondo medievale tanto penetrante nel sentire collettivo dell'opinione pubblica da diventare mito, anche a sette secoli di distanza dallo smantellamento del più celebre ordine cavalleresco dell'era delle Crociate. Tante le leggende, le storie controverse e addirittura le menzogne trasformate in falsi storici che avvolgono, soprattutto, la fase finale dei Templari, quella caratterizzata dall'arresto dei vertici dell'ordine ad opera dei gendarmi di Filippo IV il Bello, re di Francia, nel 1307, dalle accuse di eresia e blasfemia, dall'assoluzione dei Templari ad opera della Chiesa "prigioniera" ad Avignone che operò tuttavia lo scioglimento del sodalizio e, infine, dal tragico rogo dell'ultimo Gran Maestro, Jacques de Molay. Morto sul rogo nel 1314 sull'Isola dei Giudei a Parigi. A poca distanza da dove, il 21 gennaio 1793, fu decapitato Luigi XVI, "ultimo Capeto", ultimo Re di Francia per diritto divino, giustiziato nell'attuale Place de la Concorde mentre dal pubblico, sembra, qualcuno gridasse: "Jacques de Molay, sei stato vendicato".

A fare luce nella storia dei Templari e a rendere giustizia a un ordine che, tra grandi obiettivi politici e un anacronismo storico nella sua fase terminale, fu totalmente figlio del suo tempo, svelando al contempo come la cultura del legame col Tempio di Gerusalemme affondi le sue radici in una tradizione secolare, ci ha pensato Barbara Frale. La Frale, storica del Medioevo e ufficiale dell'Archivio Storico Vaticano, ha scritto per i tipi di Laterza il saggio La leggenda nera dei Templari che dà un inquadramento storico e precise coordinate all'epopea dei Templari, al tramonto dell'ordine dopo la ritirata degli ultimi crociati da Acri (1291) che aveva reso antistorico il loro ruolo di guardiani della Terrasanta cristiana, agli appetiti della Corona di Francia per il loro tesoro, alla fragilità politica della Chiesa cattolica e di Papa Clemente V, che provò a scagionare i Templari trovandosi però costretto a concluderne la storia e a trasferire i beni all'ordine degli Ospitalieri, ancora oggi attivi come Cavalieri di Malta.

La leggenda nera dei templari

Frale legge con attenzione la simbologia del Tempio di Gerusalemme di cui, dopo la conquista crociata di Gerusalemme (1099) i Templari furono i custodi, nascendo appositamente come milizia di monaci-cavalieri il cui personale ora et labora era un ora et pugna, "prega e combatti". San Bernardo da Chiaravalle nel trattato In lode della nuova cavalleria li definì "più miti degli agnelli e, nel contempo, più feroci dei leoni". Frale ricorda dei Templari che "la radice della loro spiritualità risiedeva proprio nella Sacra Scrittura, dove numerosi inni esaltavano le gesta belliche del Popolo Eletto contro i suoi nemici. Una guerra sicuramente santa, perché combattuta contro i cultori degli idoli, un'ideologia che la società cristiana al tempo delle crociate", pur intrisa di sincretismo come dimostrato in seguito dalla parabola di Federico II di Svevia, "trovò adeguata alle sue esigenze, mentre i documenti pontifici attingevano a piene mani a quei passi della Bibbia che celebravano Dio come Sabaoth", ovvero "Signore degli Eserciti".

La coltre di misticismo e spiritualità orientale che aleggiava sui Templari prefigurava il loro ingresso nella leggenda. La lunga serie di tradizioni ebraiche, mediorientali e sincretiche legate al Tempio di Salomone però, ricorda Frale, era stata incorporata dalla cristianità medievale, permeata di mito, che ad esempio non mancava di rileggere il costruttore del Tempio come un "Re-Mago", di sentire un'attrazione profonda per ciò che veniva dall'Est riconquistato alla cristianità. Il processo di Filippo IV di Francia creò, appunto, una leggenda di perversione, culti pagani, blasfemia su una tradizione accettata anche fuori dai Templari. Consentendo con forzature, confessioni estorte e scabrosità di demolire il vero obiettivo della Francia: la reputazione pubblica dei Templari, unico argine al mantenimento della loro rete di potere militare, ed economico dopo la perdita dell'Oltremare. Una tradizione di riti d'iniziazione camerateschi e di prove di fedeltà in caso di caduta in mano ai musulmani fu trasformata nella narrazione processuale degli inquisitori transalpini in un mito di riti orgiastici e dissacranti ad opera dei monaci-guerrieri.

I Templari furono in larga parte scagionati dalle accuse dalla Chiesa stessa, che con un'opera di garantismo ante-litteram operò un'azione di investigazione profonda degli addebiti mossi ai Cavalieri, e la morte sul rogo di Jacques de Molay fu legata essenzialmente a un atto di arbitrio di Filippo il Bello. L'anima nera del processo fu Guglielmo Nogaret, inquisitore capo di Francia richiamato più volte dalla Santa Sede per il suo arbitrio. Frale, che ha studiato con attenzione le carte, riporta l'esempio opposto dia Rinaldo da Concorezzo, arcivescovo di Ravenna e responsabile del processo ecclesiastico ai Templari per l'Italia settentrionale: egli assolse i cavalieri e condannò l'uso della tortura per estorcere confessioni nel concilio provinciale di Ravenna.

A sette secoli di distanza, dunque, possiamo capire la profondità del fascino ancora esercitato dai Templari sull'opinione pubblica tanto nella profondità della loro missione quanto nei misteri e nelle ambiguità che portarono alla fine dell'ordine dei "Poveri compagni d'armi di Cristo e del tempio di Salomone". La profondità della missione li ha visti associati a ogni sorta di leggenda, prima fra tutte quella che li vedeva custodi del Santo Graal.

La fine dell'ordine decretata nel Concilio di Vienne nel 1312 dalla Chiesa anche per tutelare dai processi civili i membri, che entrarono in altre congregazioni, e la successiva morte sul rogo decisa di de Molay, assolto dalla Chiesa da ogni addebito, furono fusi in un unico contesto nella "leggenda nera" che gli storici hanno, gradualmente, demolito. E la diffusione capillare dei Templari dopo la fine dell'ordine ha portato alla diffusione della leggenda di una continuità dei monaci-guerrieri che ha dato vita a un filone di libri, romanzi e film ma che ha appigli reali: in Scozia, re Roberto I aprì le porte dei suoi domini ai Templari in fuga e molti riferimenti all'ordine sono analizzabili nella celebre Cappella di Rosslyn, mentre in Portogallo i Templari, semplicemente, cambiarono nome su iniziativa di Re Dionigi, che fondò l'Ordine del Cristo approvato nel 1319 da Papa Giovanni XXII.

L'Ordine del Cristo combatté nella fase finale della Reconquista contro i mori della penisola iberica e nel XV secolo, guidato dal Gran Maestro Enrico il Navigatore, infante del Portogallo, gestì le rendite delle terre africane e delle nuove isole colonizzate (Azzorre e Madera) finanziando la prima scuola per navigatori a Sagres, il cui lavoro aprì la via alla supremazia marittima portoghese che porterà alle grandi esplorazioni cinquecentesche.

E oggi esiste ancora, secolarizzato, avendo come Gran Maestro il Presidente della Repubblica del Portogallo. Non è leggenda, è storia. L'estrema propaggine dei Templari, non morti ma semplicemente moltiplicatisi in una serie di rivoli giunti fino ai giorni nostri.

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