Un mistero che parte da lontano, conservato dalle bellissime montagne vicino al paesino di Concabella, luogo che per Antonio, artista internazionale, ha rappresentato un posto da cui fuggire, ma a cui è tornato dopo tanto anni, riappropriandosi di quei dolori della sua infanzia dovuti ad un padre, ora morto, che non lo ha mai compreso. Ma quelle maestose e claustrofobi montagne che nascondono un altro mistero, il cui simbolo è il monumento che commemora cinque partigiani uccisi dopo l'armistizio del '43.
Quei ragazzi, nascosti per mesi in una baita ad alta quota, vennero riforniti a lungo da una giovane staffetta, Santina. Poi, all'improvviso, la sparizione della ragazza, un misterioso tradimento e la fucilazione dei cinque. Camminando per i sentieri scoscesi della valle e tra le vie di Concabella, là dove ancora si sussurra della tragica fine dei cinque ragazzi, Antonio ripercorre la vicenda e si avvicina sempre più a una nuova verità che coinvolge inaspettatamente la sua famiglia. Indagare il passato sarà per lui un modo per riconciliarsi con la memoria del padre e fare pace con un luogo che ha tanto odiato.
È questa la storia de La montagna delle illusiosi (Piemme) romanzo del giornalista Paolo Paci, autore di una ventina di volumi tra saggi, libri fotografici e racconti di viaggio, soprattutto incentrati sulla montagna ma anche su un periodo molto doloroso del nostro Paese, quello della guerra. Ora con questo nuovo romanzo indaga sull'anima e su come le cose non sono mai come sembrano, neanche i grandi fatti della storia. Ne abbiamo parlato con l'autore.
Lei è un giornalista ma anche un viaggiatore, cosa l’ha spinta a scrivere una sorta di giallo sulla montagna.
"Volevo raccontare prima di tutto un ambiente: una stazione sciistica sull’orlo del fallimento e un momento storico: quello del cambiamento climatico, una mutazione che peserà sul nostro modo di vivere più di quanto immaginiamo. La storia narrata nel romanzo serve ad accompagnare il lettore lungo i settant’anni che precedono questi eventi. C’è un “giallo”, è vero, ci sono misteri da risolvere, ma la domanda finale è: come siamo arrivati a questo punto?"
Stupisce che il suo protagonista pur amando la montagna, il posto che gli ha dato i natali, si senta in qualche modo soffocato percependo non solo la bellezza ma anche il mistero di certi luoghi. Quanto le somiglia?
"Sono un cittadino, ma ho sempre frequentato la montagna 'da dentro', e conosco bene le fatiche, le incertezze del vivere nelle terre alte. Il rifiuto che si può avere per un paese in cui si è nati, misto a sentimenti di amore e nostalgia. Il protagonista del romanzo è un artista e nelle montagne ha sempre percepito forme pure, di bellezza quasi inesprimibile, in contrasto con la grettezza degli uomini che le abitano".
Anche guardando i suoi precedenti libri è molto legato al periodo storico della guerra, cosa la affascina e da dove è partito per costruire una storia che parla di partigiani?
"La guerra partigiana è un punto nodale della storia d’Italia e in montagna ha avuto i suoi momenti più epici e, in seguito, 'retorici'. Il romanzo racconta un piccolo episodio, simile a quelli accaduti in tante parti delle Alpi, piccolo ma significativo: ci fa intuire il senso profondo della guerra civile, paesi che si spaccano, faide famigliari, e quanto il nostro Paese sia cambiato, ma anche non cambiato, dopo la Liberazione".
C’è qualcosa di autobiografico in questo libro?
"Soprattutto gli ambienti. Il luogo in cui si svolge la vicenda è molto simile alle valli delle Prealpi lombarde che io frequento da sempre e che sento profondamente mie. La montagna alpinistica è quella che ho vissuto fin dall’infanzia, e perfino il capitolo di intermezzo, che sposta l’azione nelle Calanques di Marsiglia, risente delle mie esperienze (di escursionista e arrampicatore) tra quelle guglie calcaree. Per il resto, i personaggi non hanno nulla a che fare con la mia storia famigliare. Provo solo un po’ di invidia per il mio protagonista: anche a me sarebbe piaciuto diventare un artista di fama, invece non so tenere in mano nemmeno la matita".
Far pace con i luoghi che sono stati lo scenario dei nostri dolori significa anche far pace con noi stessi?
"Il protagonista del romanzo è scappato dalla sua valle e dalla sua terribile storia famigliare. Il suo ritorno (forzato) coincide con una riflessione sul passato, con il perdono e la riconciliazione. Ma è anche un momento di risveglio della sua creatività: la sua arte ne uscirà migliore.
Io credo che dobbiamo sempre fare i conti con le origini, le vicende più dolorose, gli aspetti più deludenti di noi stessi. Accettare, accettarci, può dar luogo a una rigenerazione “attiva”. Che forse non sarà una nuova felicità, ma ci si avvicina".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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