«Li ho visti crescere e vi racconto perché adesso sono in guerra»

Teodoro Buontempo, memoria storica del partito: «Le divisioni sono figlie della svolta di Fiuggi. E ora Maurizio e Gianni potrebbero allearsi...»

Luca Telese

da Roma

«Roba da pazzi... Ora scoprono i difetti di Fini! Per dieci anni, solo per aver dissentito da lui, mi hanno considerato una mina vagante. Adesso, improvvisamente, tutti critici. Eh no...». Mormorà Teodoro Buontempo un po’ stupito, un po’ divertito ma - soprattutto - affranto. Per molto tempo in An era l’eterno bastiancontrario, l’oppositore solitario. Ora invece è preoccupato. Anche perché, se c’è uno che li conosce tutti, i leader di An, è lui: l’uomo che in un lungo decennio li allevò uno a uno nella ormai mitica sezione del Fronte della gioventù di Sommacampagna a Roma.
Onorevole Buontempo, ma lei se lo ricorda da dove saltò fuori Fini?
«Oh, non è che ha in mente una intervista di aneddoti e battute? Il momento è grave, non scherzo mica».
La domanda era seria, infatti.
«All’inizio degli anni Settanta cercavo un militante “alfabetizzato” che potesse curarsi delle pubblicazioni giovanili... la responsabile delle sezione Monteverde-Portuense, Anna, mi segnalò un ragazzo di Bologna: “È un po’ precisino” ma in gamba».
E lei che fece?
«Appena entrò in sede gli mollai tre o quattro volantini da buttare giù. Quando li lessi feci un salto sulla sedia: “Sono scritti in italiano!”. Scherzavo, certo, ma non era facile trovare una penna così buona».
E poi?
«In due settimane Fini era diventato redattore di una decina di giornaletti di istituto. In due mesi lo avevo già nominato responsabile studenti».
Che look aveva?
«Identico ad adesso, solo con gli occhiali a goccia».
Ma su, a vent’anni....
«Identico. Sempre con la giacca, la cravatta e... la ventiquattr’ore. Cosa ci tenesse non l’ho mai capito. Però faceva molta scena».
A questo punto l’identikit degli altri discepoli: Gasparri e Alemanno.
«Gasparri era molto diverso da oggi: diciamo... elegantino-casual. Uno a cui piaceva avere un capo firmato, chessò, un Levi’s. Gianni era proprio un militante al cubo: giaccone, pantalone militare, maglioni... arrivò portato da sua sorella che era un ragazzino timido. Stava in sezione 24 ore su 24: diciamo che l’aspetto fisico non era la sua priorità».
Lo dice lei che per un anno ha dormito in 500?

«Infatti per me è un complimento».
Per capire la guerra di oggi bisogna ripercorrere questa storia?
«Sì, e le spiego perchè. Nel Msi c’erano all’ingrosso quattro anime. Quella di Almirante, una sorta di sinistra della destra, poi anima di governo del partito. Poi quella di Romualdi, una destra storica, filoamericana; e poi quella di Rauti che, dal punto di vista intellettuale, aveva capito prima alcuni grandi temi della modernità. Infine i giovani, noi: il grande magma, la linfa vitale del Msi».
Un partitino non facile....
«Ogni comitato centrale si votavano documenti e liste: era peggio di un congresso, ma eravamo più uniti di ora con l’unanimismo di facciata».
Lei nasce «almirantiano», come tutti quei ragazzi...
«Sì. Le correnti di allora avevano senso perchè ognuna portava qualcosa e rinunciava a qualcosa. Ognuna aveva il suo apparato culturale di riferimento: letture, autori... Eppure le più feroci guerre politiche si risolsero sempre con decisioni unitarie».
Anche An ha le sue correnti, perchè allora erano un valore, e ora, per stare a Fini, «metastasi»?
«Perché nascono su un grande equivoco a Fiuggi. Vede, le correnti storiche, come ho detto, erano figlie di grandi diversità: Rauti leggeva Evola, Romualdi, che pure era stato nella Repubblica sociale, Cavour. Le correnti di An, invece, sono figlie dello stesso gruppo dirigente, figlie del ceppo almirantiano-finiano. E sa perchè?».
Perché?
«Perchè Fini si rese conto che gran parte del partito era contrario alla mutazione dal Msi in An: il dissenso era stato ridotto dal maggioritario, dallo spirito di disciplina, ma più del 30 per cento era contrario, e la percentuale salì dopo il congresso».
Si spartirono il campo a tavolino?
«Più o meno: quella classe dirigente era sostanzialmente d’accordo, ma si divise per recuperare gli scontenti. Ora, che si dicono uniti, sono sostanzialmente divisi. Non è buffo?».
Secondo lei sono possibili colpi di scena il 28 luglio?
«Pochi lo ricordano: Alemanno fu vice di Gasparri. Erano vicini di scuola: quando picchiavano Gasparri al Tasso, che era di sinistra, lui correva da Gianni al Righi, che era di destra».
Picchiavano metaforicamente...
«No, picchiavano e basta. Ma lo ricordo solo per dire che i due sono molto più affini di quel che non si creda: gli unici che hanno una rete sul territorio, che si conoscono come le proprie tasche. Insomma, potrebbero accordarsi. Lo fecero già, nel 1987 quando con le regia mia e di Fini si divisero il Fronte: uno segretario, l’altro presidente, in una cena a Portapia. Inizia lì il partito-famiglia».
Cosa li divide?
«Maurizio è più di centrodestra, più tentato dal partito unico. Gianni crede di più alla necessità di una destra autonoma».
E questo a lei piace...
«A me l’idea che sciolga con tanta leggerezza An mi fa impazzire».
Ma cosa dirà in direzione?
«Che siccome non mi sono mai piaciute le nomine fiduciarie, non mi piacciono nemmeno le destituzioni sfiduciarie».
Questa è buona, e poi?
«Che se questo partito si vuole salvare devono nascere una maggioranza e un’opposizione».
E Fini quanto è cambiato?
«Nulla. È identico a com’era, solo un po’ più cinico. Ma non è il solo».
Lei lo stima come allora?
«Sì, certo.

Non mi sono scordato che abbiamo vissuto insieme in un tempo in cui alcuni di noi sono morti, e noi siamo sopravvissuti solo per caso. Quando penso, chessò, a tutti noi al funerale di Cecchin, nel 1979, le miserie di oggi mi fanno rabbia».
Voterà per lui o contro di lui?
«Voterò contro il partito unico. E spero che gli altri votino con me».

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