Spesso i convegni letterari sono, in realtà, avvenimenti mondani studiati per finanziare con soldi, generalmente pubblici, le amicizie private di studiosi e accademici che approfittano dell'occasione per passare una breve vacanza, parlando di argomenti strettamente riservati agli addetti ai lavori. Talvolta, qualche tempo dopo e sempre con soldi pubblici, vengono pubblicati gli Atti del Convegno, raccolti in volumi che nessuno leggerà mai.
Può invece succedere che dei sinceri appassionati organizzino un evento su un tema di interesse generale, come è accaduto a Merano, con un convegno di studi dedicato al ruolo propulsivo di Ezra Pound nella cultura mondiale, i cui Atti sono appena stati pubblicati col titolo La libertà dell'intelligenza: Ezra Pound, un intellettuale tra intellettuali (Edizioni Ares, pagg. 264, euro 20). Curato da Roberta Capelli e Alice Ducati, specialiste di filologia romanza, il volume raccoglie anche gli interventi di Manlio Della Marca, Maurizio Pasquero e Carlo Pulsoni, dedicati rispettivamente a Pound e a Marshall McLuhan, all'amico lombardo di Pound, Carlo Linati, e all'appello per la liberazione di Ezra Pound firmato a metà degli anni Cinquanta da molti intellettuali italiani. Sono tutti argomenti stimolanti, e non solo per gli affiliati alla setta poundiana, ma anche per il lettore colto che sicuramente avrà dimestichezza con McLuhan e le sue teorie sulla comunicazione di massa, così come si ricorderà di un fine anglista come Linati, che da Como fece conoscere a tutti gli italiani celebrità letterarie come Yeats, Joyce, Hemingway, Lawrence e, naturalmente, Pound; altrettanti, infine, saranno coloro che hanno perlomeno sentito parlare della mobilitazione di molti scrittori, editori e artisti italiani che, dopo più di dieci anni di prigionia, hanno sentito il dovere di sollecitare alle autorità statunitensi la liberazione del «Prometeo incatenato».
La lettura del volume conferma, quindi, la centralità di Ezra Pound nel Novecento, che non si esaurisce nella storia della letteratura, ma si irradia verso molti altri campi, dalla musica alla sociologia, dalla scultura al cinema, dal montaggio fotografico alla politica e all'economia. Il contributo di Maurizio Pasquero, ad esempio, ricostruisce fedelmente l'atmosfera degli anni ruggenti, quei roaring Twenties durante i quali il poeta decise di trasferirsi definitivamente nel Bel Paese, perché «l'Italia è viva, ardente, piena di agitazione e di sano fermento. È quello che ci vuole per noi». La descrizione dell'amicizia tra Pound e Linati prosegue fino al suo raffreddamento verso la fine degli anni Trenta e al successivo tentativo di ripresa dei rapporti innescato da una lettera di Pound, la prima indirizzata a un amico italiano dal manicomio criminale di St Elizabeths', lettera che avviò un ultimo, breve scambio epistolare. Altrettanto interessante, al fine di inquadrare correttamente il rapporto di Pound con gli intellettuali italiani, è il contributo di Carlo Pulsoni, che racconta i retroscena dell'Appello per liberare il poeta incarcerato, richiesta provocata dall'articolo di Giovanni Papini pubblicato sul Corriere della Sera il 30 ottobre 1955, giorno del settantesimo compleanno di Pound. Ricordando come anche «i capi del Cremlino rimandano graziati i criminali di guerra», Papini chiede all'ambasciatrice americana nel nostro Paese, Clara Luce, che abbia «fine la tetra e tormentosa reclusione del vecchio e infelice Ezra Pound».
Lasciamo al piacere del lettore scoprire che cosa è successo nei tre anni che sarebbero dovuti ancora trascorrere prima che il poeta venisse liberato, anticipando però il fatto che, allora, molti intellettuali italiani non esitarono a schierarsi dalla parte del più forte, come succederà ancora con gli appelli omicidi sottoscritti, da altri intellettuali, durante i cosiddetti «anni di piombo».
Giorgio Manganelli, ad esempio, non esita a sferrare il calcio dell'asino, spiegando, in un articolo del 1957 intitolato «Ezra Pound e il razzismo», come anche in manicomio Pound «abbia ripreso (...) il contegno da lui tenuto durante la guerra», mentre molti firmatari dell'appello sottolineano puntigliosamente che loro chiedono sì la liberazione del poeta, ma non che egli venga riconosciuto innocente.
Peccato che nessuno spieghi di che cosa potrebbe essere ritenuto colpevole Pound, dato che nessuno aveva ascoltato né, tanto meno, aveva mai potuto leggere i testi dei suoi radiodiscorsi, che furono il motivo del suo arresto e della successiva prigionia, a cui, ricordiamo, seguì una dura carcerazione durata quasi tredici anni, senza né un processo né una condanna.
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