La libertà è meglio dell'uguaglianza. Parola di Karl Popper

In "La società aperta e i suoi nemici", il filosofo esorta a non sognare "il paradiso in terra". E a porre al centro di ogni decisione la volontà degli individui

La libertà è meglio dell'uguaglianza. Parola di Karl Popper

Ricorda Ralf Dahrendorf in Erasmiani: «Karl Popper rientrò dall'emigrazione nel 1946 (...). Lavorò alla London School of Economics fino alla pensione e oltre come professore di logica e di metodo scientifico. Rimase un docente spesso arrabbiato, sempre polemico. A mano a mano che i suoi libri allargarono la loro influenza, in particolare fra i leader politici, questi cominciarono a recarsi da lui - o a invitarlo - per riceverne consigli. Era orgoglioso del fatto che a ricercarlo fossero leader politici di ogni orientamento democratico, e per questa via portò molte delle sue opinioni, spesso intransigenti, fra la gente». E proprio qui sta una delle ragioni che ha ravvivato la non mai sopita questione se Popper sia un liberale o un socialista. Ma molti anni prima degli episodi richiamati da Dahrendorf, era stato Rudolf Carnap a chiedere a Popper da quale parte stesse, se fosse cioè un liberale o un socialista.

«Diventai marxista nel 1915, all'età di 13 anni, e antimarxista nel 1919, quando ne avevo 17. Ma rimasi socialista fino all'età di 30 anni, sebbene nutrissi dubbi crescenti sulla possibilità di vedere associati libertà e socialismo». Questo ha dichiarato Popper in una intervista alla televisione bavarese il 5 gennaio del 1971. Dunque, il rifiuto del marxismo non scosse «in un primo tempo» la fede del giovane Popper nel socialismo: «Il socialismo era per me un postulato etico, nient'altro che l'idea della giustizia. Un ordinamento sociale in cui esistevano grande ricchezza e grande povertà mi appariva ingiusto e intollerabile». E così - fa presente Popper nella sua autobiografia - «per diversi anni rimasi socialista, anche dopo il mio ripudio del marxismo; e se ci fosse stato qualcosa come un socialismo combinato con la libertà individuale, sarei ancora oggi un socialista. E, infatti, non potrebbe esserci niente di meglio che vivere una vita modesta, semplice e libera in una società egalitaria. Mi ci volle un po' di tempo per riconoscere che questo non era nient'altro che un sogno meraviglioso; che la libertà è più importante dell'uguaglianza; che il tentativo di attuare l'uguaglianza è di pregiudizio alle libertà; e che se va perduta la libertà, tra non liberi non c'è nemmeno uguaglianza».

«Dev'essere uno dei princìpi di una politica razionale - scrive Popper ne La società aperta e i suoi nemici - la persuasione che noi non possiamo realizzare il cielo in terra». E va, inoltre, subito precisato che - per dirla con Karl Kraus - «ogni politica consiste nello scegliere il male minore. E i politici dovrebbero manifestare il massimo zelo nella ricerca dei mali che le loro azioni devono necessariamente produrre, invece di nasconderli (...)». Per tutto ciò - è sempre Popper a parlare - «penso che, in politica, sia ragionevole adottare il principio di essere pronti al peggio, nella misura del possibile, anche se, naturalmente, dobbiamo nello stesso tempo cercare di ottenere il meglio. Mi sembra stolto basare tutti i nostri sforzi politici sull'incerta speranza che avremo la fortuna di disporre di governanti eccellenti o anche competenti». La domanda che sta a fondamento di una società libera, della società aperta, non è, infatti, Chi deve comandare? ma quest'altra: «Come ci è possibile controllare chi comanda? Attraverso quali istituzioni governanti incapaci e/o corrotti possono venir rimossi senza spargimento di sangue?».

La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee ed ideali diversi e magari contrastanti - è aperta al maggior numero possibile di concezioni sull'uomo, su Dio, sulla storia, sulla politica, sul bene e sul male - ma è chiusa, pena la sua autodissoluzione, ai violenti e agli intolleranti. La società aperta non sarà mai perfetta. E la verità è che in ogni utopista si agita un totalitario assetato di sangue. «In politica e in medicina - annota Popper - chi promette troppo non può essere altro che un ciarlatano. Noi dobbiamo cercar di migliorare le cose, ma dobbiamo sbarazzarci dell'idea di una pietra filosofale, di una formula che converta senz'altro la nostra corrotta società umana in puro oro perenne». Conseguentemente - in una conferenza tenuta a Siviglia nel 1992 - Popper sosterrà che «dovremmo tentare di occuparci di politica al di fuori della polarizzazione sinistra-destra. Penso che questo sia un traguardo difficile da conseguire. Ma sono, tuttavia, sicuro che si tratta di una cosa possibile».

In una lettera del 6 gennaio del 1947 Popper scrive a Rudolf Carnap che in politica è necessario essere «meno religiosi e più concreti» e che il pericolo principale del socialismo è quell'elemento utopico e messianico che «lo spinge così facilmente in una direzione totalitaria». Di contro, l'idea popperiana di un rasoio liberale: «I poteri dello Stato non devono essere moltiplicati oltre necessità». E da qui anche l'idea stando alla quale: liberale è «un uomo che dà importanza alla libertà individuale ed è consapevole dei pericoli inerenti a tutte le forme di potere e di autorità».

E qua giunti, in un orizzonte come quello delineato, la questione inevitabile è: che fare? E dinanzi a tale interrogativo Popper traccia la grande distinzione tra ingegneria gradualista e ingegneria utopica: «Si tratta della differenza tra un metodo ragionevole di migliorare la sorte dell'uomo e un metodo che, se realmente tentato, può facilmente portare ad un intollerabile accrescimento della sofferenza umana». Non esiste un metodo razionale per determinare quale sia la società perfetta e se è impossibile trovare un accordo su quale sia la città ideale, non è invece particolarmente difficile mettersi d'accordo su quelli che sono i mali più intollerabili della società e sulle riforme sociali da intraprendere con la maggiore urgenza. I mali reali e concreti di cui gli uomini soffrono «ci stanno di fronte qui ed ora. Si può averne esperienza, e li sperimentano ogni giorno persone immiserite e umiliate dalla povertà, dalla disoccupazione, dalle persecuzioni, dalla guerra e dalle malattie».

Questo scriveva Popper oltre settanta anni fa ne La società aperta e i suoi nemici e si tratta di una proposta valida ieri come oggi. E se è vero che «se la libertà va perduta, tra non liberi non c'è nemmeno uguaglianza», è anche vero - dirà Popper a Carnap - che «la libertà non possa essere conservata senza migliorare la giustizia distributiva, vale a dire senza aumentare l'uguaglianza economica».

Da qui: la razionalità di una ingegneria sociale gradualistica che in una Società aperta, cioè libera, esige il massimo impegno del singolo, dei corpi intermedi e dei partiti (non più sorgenti di Verità, ma di proposte) per la risoluzione di problemi reali e di mali concreti piuttosto che baloccarsi, irresponsabilmente, nei sogni dei visionari, nelle nefaste prediche degli ideologi e in quel sonno della ragione che genera mostri.

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