Tripoli «Crediamo nel paradiso di Allah e se ci bombarderanno siamo pronti a morire per il nostro leader, la nostra gloria, Muammar Gheddafi». Sembra infervorato Abdul Aziz, 32 anni, uno dei fan del colonnello nella piazza Verde, al centro di Tripoli, che canta e balla per sfatare la paura dell'attacco dal cielo. Tutti pensano che sia imminente e devastante. «Tripoli verrà colpita come nei raid americani del 1986» si sussurra, ma nessuno sa veramente cosa accadrà.
Fin dalla notte scorsa, pochi minuti dopo la risoluzione dell'Onu che ha imposto la no fly zone sulla Libia, la situazione è diventata paradossale. Il simpatico e un po' cicciottello Khalid Kaim, viceministro degli Esteri, ha buttato giù dal letto i giornalisti all' una di notte per un'improvvisata conferenza stampa.
«Noi rispettiamo le Nazioni Unite, la risoluzione ha qualche aspetto positivo. Stiamo per decidere una tregua e forse arriveranno anche gli osservatori delle Nazioni Unite per farla rispettare » ha detto il diplomatico con il suo perenne sorriso sulle labbra, anche quando le domande lo mettono in croce. Sul primo momento ci sembrava di sognare o di avere le allucinazioni. Poche ore prima ci aveva dato la buona notte il colonnello Gheddafi promettendo un bagno di sangue a Bengasi, roccaforte dei ribelli e poi salta fuori la versione rose e fiori. Il sogno è durato poco. Un centinaio di fazzoletti verdi, i giovani fan del colonnello, hanno invaso l'hotel che ospita la stampa internazionale ululando contro americani e inglesi con vecchi slogan anti coloniali. Uno brandiva un machete, ma la guardia all'ingresso lo ha sequestrato. Il sorridente ministro degli Esteri si è ritrovato pure lui travolto dai sostenitori del colonnello.
Il solito slogan: «Allah, Muammar, la Libia e basta» faceva l'eco nel salone dell'albergo. Nonostante l'irruenza anti occidentale nessuno, però, ci ha torto un capello e neppure spintonato.
La prima notte di no fly zone non abbiamo praticamente chiuso occhio discutendo se darcela a gambe, quando abbiamo capito che l'ambasciata italiana chiudeva i battenti, o aspettare le bombe annunciate dai francesi. La mattina dopo ci siamo ritrovati «prigionieri» in albergo, durante il primo venerdì di preghiera con la minaccia dei raid. «Gli shabab (i giovani filo Gheddafi, nda ) sono un po' nervosi e dicono che dovremmo sbattervi fuori a calci nel sedere.
É meglio lasciarli sbollire. Vi identificano con il nemico che ci vuole attaccare» racconta Abdul Jalil, uno degli interpreti assoldati dal ministero dell'Informazione libico per tenerci a bada.
Grazie a gente coraggiosa che ci aiuta a capire cosa succede veramente si scopre che quasi tutte le moschee sono presidiate, a cominciare da quella di piazza Algeria, nel centro, dove erano già scoppiate contestazioni contro Gheddafi. I kataeb , le milizie scelte del colonnello con il grilletto facile, pigiati in macchine civili, sono piazzati in forze davanti ai luoghi di culto: «Così sai che per ogni parola, ogni slogan contro Gheddafi ti aspetta una pallottola» dichiara un oppositore.
Girano voci di scontri a Suq al Gumah, uno dei quartieri ribelli della capitale e a Tajorua, il sobborgo caldo di Tripoli. In realtà, i Fratelli musulmani, che puntano da settimane alla rivolta nella capitale, non ce la fanno a sfidare la repressione.
Molti giovani sarebbero stati arrestati il giovedì e rilasciati sabato per evitare che il giorno di preghiera organizzino cortei.
Da ieri i Fratelli musulmani stanno indicando sul sito della rivolta libica gli obiettivi che verranno colpiti dagli alleati invitando a stare lontani.
Nel primo pomeriggio, sempre in attesa delle bombe, altro colpo di scena con l'ascetico Mussa Koussa, che per 30 anni ha guidato i servizi segreti libici. Oggi fa il ministro degli Esteri. Capelli brizzolati, giacca chiara e camicia abbottonata senza cravatta legge un comunicato e annuncia a sorpresa: «La Libia dichiara un immediato cessate il fuoco e ferma tutte le operazioni militari». Come il gatto e la volpe, Gheddafi poche ore prima aveva annunciato che scatenerà l'inferno contro chi osa bombardare, compresa l'Italia.
I ribelli ribattono che la tregua è un bluff. Misurata, 180 chilometri ad est di Tripoli, che stanno perdendo, è sotto bombardamento governativo dal mattino. La terza città del paese potrebbe diventare il primo banco di prova dell' intervento aereo alleato. Lo stesso Koussa ammette: «Abbiamo segnali che ci attaccheranno ». Come nel 1986 quando gli americani punirono Gheddafi per aver flirtato con i terroristi. Il cuore della cittadella fortificata di Bab al Azizya, al centro di Tripoli, era ridotta ad un cumulo di macerie.
La figlioletta adottiva del colonnello, Hana, di 16 mesi non era sopravvissuta. «Hanno colpito la mia casa. Fino a quando avrò vita non smetterò di lottare contro americani e inglesi. Vorrei uccidere i piloti che hanno sganciato le bombe con le mie mani» urlava la moglie di Gheddafi fra le macerie. Ferita lievemente pure lei, agitava le stampelle davanti alle telecamere.
A Bab al Azizya il copione potrebbe ripetersi, ma pochi sanno che dopo i raid Usa due Mig libici scesero in picchiata sui resti del fortino di Gheddafi. Uno esplose in volo colpito dalla contraerea e l'altro fuggì via. Alcuni reparti si erano ammutinati, ma Gheddafi, seppure ferito e portato a Shaba, nel deserto del sud, riuscì a restare in sella. Questa volta ha il mondo contro. I suoi lo sanno, ma giurano di non voler mollare.
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