Arancina o arancino? L'importante è berci su uno spumante siciliano!

Il presidente di AIS Sicilia Camillo Privitera presenta la sesta edizione di "Sicilia in Bolle" il 10 e l'11 ottobre alla Scala dei Turchi

Arancina o arancino? L'importante è berci su uno spumante siciliano!

Mordace, frizzante, stuzzicante. Forse quando si parla di Sicilia non sono i primi aggettivi che vi vengono in mente. Allora non siete mai stati a “Sicilia in bolle”, la kermesse a cura dell’Associazione Italiana Sommelier, giunta quest’anno alla sesta edizione. Una due giorni di degustazioni e manifestazioni sabato 10 e domenica 11 ottobre a Realmonte, con vista sulla Scala dei Turchi. “Non ci ha fermato nemmeno il coronavirus” afferma soddisfatto Camillo Privitera, presidente dei sommelier siciliani, che specifica: “Faremo tutto nel rigoroso rispetto dei protocolli di sicurezza, abbiamo abolito chiaramente i banchi di degustazione e ci saranno solo degustazioni guidate a cui si potrà accedere solo su prenotazione”. Un chiarimento importante, visto che a luglio 2019 Sicilia in Bolle ha richiamato oltre mille appassionati che hanno potuto degustare 100 etichette di una sessantina di cantine siciliane.

Una manifestazione pensata per l’estate, ma il coronavirus vi costringe a tenerla in pieno autunno. Ci potrebbero essere contraccolpi meteorologici?

“Contiamo sul clima temperato e mite della Sicilia, che non ci tradirà, ne sono certo. In questo momento mi trovo a 800 metri di quota e sono in maglietta a maniche corte! Comunque si svolgerà tutto nei saloni di questa struttura che affaccia sulla Scala dei Turchi: un panorama mozzafiato in tutte le stagioni!”

“Sicilia in bolle” è cresciuta molto negli anni…

“Questa sesta edizione è la più difficile, ma paradossalmente è anche la più ricca. Quest’anno ospitiamo i consorzi del Trento Doc e dell’Alta Langa con relative degustazioni. Inoltre c’è la prima edizione del concorso che deciderà il Miglior Sommelier della Sicilia”.

Nel 2014 sembrava una follia organizzare una manifestazione solo sugli spumanti siciliani. Qual era lo stato dell’arte?

“ ‘Sicilia in bolle’ nasce da un’idea del sommelier empedoclese Alberto Gino Grillo, scomparso tragicamente nel 2014. Questa manifestazione è iniziata dalla sua generosità e dal suo entusiasmo, che restano ancora oggi. Non lavorava nel settore enologico, faceva tutt’altro, ha sempre mostrato un attaccamento commovente alla divisa da sommelier. Certo 6 anni fa sembrava folle e temerario organizzare una manifestazione solo sugli spumanti siciliani con vista sulla Scala dei Turchi, posto meraviglioso ma non facilissimo da raggiungere”.

Quale Sicilia raccontano queste bollicine?

“Una tendenza che sta crescendo, sia nelle lavorazioni con metodo classico che in quelle con metodo charmat, su vitigni autoctoni: nero d’Avola, frappato, carricante, nerello mascalese, grillo, cataratto”.

In cucina si dice che ciò che è fritto è buono a prescindere. Rischia di essere così anche per le bollicine nel calice?

“Non credo affatto che lo spumante sia il fritto del vino, per così dire. È vero, c’è una corsa delle cantine alla spumantizzazione. Secondo me non va persa di vista la questione di un panorama regionale, fatto di territori, da difendere. Bisogna distinguere caso per caso dove ci sia attinenza culturale a questo patrimonio autoctono”.

I giovani siciliani vogliono fare i sommelier? È una possibilità di lavoro?

“Non solo la ristorazione, penso all’enoturismo oltre che alle aziende vitivinicole può dare sbocchi interessanti a un giovane che intraprenda questo percorso di formazione professionale a partire dal corso di tre livelli dell’Associazione Italiana Sommelier. Abbiamo iniziato una selezione per il concorso con oltre 20 candidati, arriveremo a presentare sul palco 8 persone che si contenderanno il titolo regionale. E provengono da tutta la Sicilia, specialmente dai territori centro-orientali”.

La vendemmia 2020 come sta andando in Sicilia?

“A macchia di leopardo c’è stata un’ottima produzione quantitativa e qualitativa di grillo, nero d’Avola e catarratto. Ma sono molto interessanti anche il nerello mascalese e il caricante. È certamente un’annata di ottimo livello, le piogge a giugno e ai primi di luglio hanno evitato che il caldo eccessivo stressasse i grappoli d’uva”.

La Sicilia del calice fermo, senza bollicine, quella non in bolle, che momento attraversa?

“Ormai grillo e nero d’Avola sono dei classici, come i bianchi dell’Etna. Aspettiamo di vedere i dati sul cerasuolo, unica DOCG isolana, ma anche nocera e perricone stanno crescendo negli interessi commerciali di molte aziende. In Sicilia non si ragiona ancora sulle annate, perchè ci siamo affacciati recentemente a una viticultura di qualità rispetto a regioni di tradizione come Piemonte e Toscana”.

L’enoturismo in una regione con sette siti patrimonio UNESCO è quasi obbligatorio, no?

“Diventa persino difficile fare una sola proposta turistica sulla Sicilia. Ad esempio, arrivando a Palermo si possono vedere Trapani, Marsala, Segesta oppure Misilmeri, San Giuseppe Jato, Piana degli Albanesi oppure ancora da Selinunte ci si può dirigere verso la Valle del Belìce con il gretto di Burri o la stella di Consagra. La Valle dei Templi, il barocco della Val di Noto li cito en passant perché ormai sono super classici. Da Catania si possono vedere Santa Venerina, Zafferana, Milo e Randazzo, il paese dove si parlavano tre lingue, il lombardo, il greco e il latino”.

Il lombardo nel cuore etneo della Sicilia?

“A Nicosia, a San Fratello si parla una lingua che è il gallico lombardo del tredicesimo secolo dopo Cristo. A sentirlo si capisce che con i dialetti siciliani non c’entra nulla”.

Ma cosa c’entrano il vino e i sommelier con tutti questi circuiti alternativi?

“Vedere un paese, un sito archeologico, ascoltare un dialetto o una lingua da enclave, assaggiare un piatto, degustare un calice fanno parte della stessa esperienza sul territorio. Ecco perché l’Associazione Italiana Sommelier cerca di formare giovani impregnati di cultura del territorio a 360 gradi, imperniata sul vino ma capace di spaziare”.

Il commissario Montalbano che vino beve?

“Non lo so, è un giallo e per risolverlo non possiamo nemmeno chiamare lui! Ma certamente beve un vino siciliano. Scherzi a parte, la Sicilia sudorientale ha avuto un beneficio immediato dal successo delle storie di Vigàta. Ma ha portato un’onda lunga positiva su tutta la Sicilia, soprattutto nell’approccio all’enogastronomia. Le pagine culinarie di Andrea Camilleri e le loro trasposizioni televisive sono state uno straordinario stimolo all’immaginario del gusto italiano, non solo siciliano. Il commissario non fa uno spuntino, mai, si siede e mangia e beve siciliano. In questo senso ha riportato al centro un gusto italiano attraverso la Sicilia”.

In che misura il coronavirus ha influito sul comparto vitivinicolo siciliano?

“Certamente le maggiori criticità sono state avvertite nelle esportazioni. Inoltre ho la sensazione che non tutte le aziende siciliane abbiano utilizzato la norma sull’abbattimento di resa e i relativi contributi. Ma questo mi sembra un fatto positivo, significa che le aziende stanno puntando sulla qualità, un atteggiamento da imprenditorialità matura”.

Andrebbe chiesto a un gastronomo, ma lo chiedo a un sommelier, in quanto

siciliano: arancino o arancina?

“Essendo di Acireale, ci metto la o, come sancito anche dall’Accademia della Crusca, ma superiamo la questione mangiando sia uno che l’altro. Basta che siano fatti ad arte, come si deve!”.

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